Dal sottomarino su cui era salita lo scorso 10 agosto, un prototipo realizzato dall'inventore danese Peter Madsen, la giornalista Kim Wall non aveva più fatto ritorno. Scomparsa in circostanze da romanzo giallo, non fossero state drammaticamente vero.
Una sparizione corredata dal macabro ritrovamento delle gambe e della testa decapitata della giornalista svedese, a due mesi dall'uscita in mare dopo la quale nessuno l'aveva più vista. Le parti del corpo erano sepolte a 12 metri di profondità, chiuse in una busta di plastica al largo della costa di Copenaghen. Il torso era stato trovato un paio di settimane prima, che galleggiava nel Baltico.
Madsen aveva fino a oggi negato di avere fatto alcunché alla Wall. Poi quest'oggi la prima ammissione alla polizia danese, a cui l'inventore ha ammesso di avere smembrato il corpo della giornalista e di averlo poi gettato fuori bordo. Un cambiamento nella versione dell'uomo, che tuttavia continua a ribadire di non avere ucciso la donna che l'accompagnava, ma che sarebbe invece morta per avere inalato monossido di carbonio mentre era sul ponte del sottomarino.
L'accusa contro il 46enne è di avere "sabotato" il sottomarino poche ore dopo che la giornalista era salita a bordo, per nasconderne l'uccisione. L'imbarcazione è poi affondata. La versione dell'uomo è già cambiata molte volte.
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