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L'ex 007 di Parigi: "Leggi più dure contro l'islam o sarà sottomissione"

In un'intervista a La Nazione l'ex dirigente dei servizi segreti francesi, Alain Rodier, invoca sanzioni più dure contro gli estremisti islamici: "La Francia deve aprire un dibattito serio sull'islam"

L'ex 007 di Parigi: "Leggi più dure contro l'islam o sarà sottomissione"

"Non è tollerabile che nelle banlieues gli islamisti dettino legge, che nelle moschee si predichi in arabo per inveire contro la Repubblica, che in nome dell''islamicamente corretto venga messa al bando ogni critica nei confronti dell'Islam". A parlare, all’indomani del nuovo attentato che ha scosso Parigi a cinque anni dall’eccidio jihadista nella redazione di Charlie Hebdo, è l’ex 007, Alain Rodier. In un’intervista pubblicata da La Nazione l’ex dirigente dell’intelligence francese, ora direttore del Centro CF2R, specializzato nel contrasto al terrorismo di matrice jihadista, punta il dito contro quella politica che in Francia ha permesso all’Islam di radicarsi nella società ai danni dello Stato.

L'attacco di ieri era prevedibile, "visto che giravano da tempo appelli di Al Qaida contro la Francia in occasione del processo", ha detto l’esperto al quotidiano che lo ha intervistato. Ma stavolta non si tratta di un "lavoro da professionisti". Piuttosto, dell’opera di "dilettanti". Non ha dubbi Rodier: "Abbiamo a che fare con fanatici influenzati dalla campagna di odio lanciata da Ayman Al-Zawahiri". In effetti Ali H., il 18enne di origine pakistana, tra i sei fermati per l’assalto di ieri in rue Nicolas Appert, ha confessato di aver colpito i due dipendenti dell’agenzia di stampa Premières Lignes, che ha sede nel palazzo dove c’erano gli uffici del giornale satirico prima dell’attentato del 2015, perché pensava che fossero giornalisti di Charlie Hebdo.

Dietro l’attacco, secondo fonti investigative citate dai media francesi, ci sarebbe proprio la rabbia per la ripubblicazione delle caricature di Maometto da parte dello stesso settimanale, in occasione dell’inizio del processo agli autori della strage islamista. Ali era emigrato in Francia due anni fa, come minore non accompagnato. Quando è stato fermato nella zona di place della Bastille, ieri, aveva i vestiti ancora sporchi di sangue. Le forze dell’ordine lo avevano già arrestato a giugno per possesso di arma bianca. I vicini di casa a Pantin, nella periferia di Parigi, lo descrivono come un giovane “educato”. Eppure il processo di radicalizzazione del ragazzo, evidentemente, era già in atto da tempo.

"Quanti potenziali terroristi sono pronti a raccogliere gli appelli sanguinari? Migliaia e migliaia, probabilmente", afferma l’ex agente segreto. "Non può essere diversamente – aggiunge nell’intervista - quando si consente che le campagne d'odio irrompano liberamente nei social". L’esperto se la prende con la politica. Nessuno, accusa, ha saputo affrontare il "dossier Islam". Per questo invoca una maggiore severità, sia nel trattare gli aspiranti terroristi, sia nel contrasto al proselitismo. È inaccettabile, denuncia, "che la presidente di un studentesco, l'Unef, entri in Assemblea nazionale indossando la hijab". La risposta, per l’analista, è nell’educazione: "Creare corsi di contro-informazione religiosa e spirituale, educare gli altri, la grande massa che può essere ancora recuperabile".

E, soprattutto, avviare un "dibattito" serio sull’avanzata degli islamisti nelle periferie dello Stato.

Altrimenti, come scrive nel suo ultimo libro ‘L’Islam radicale in Francia’, il rischio è la "sottomissione".

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