"Niente cibo gratis agli stranieri". E l'ente benefico finisce nella bufera

L'associazione: "Ci sono troppi stranieri, anziani e donne si sentono a disagio". E finisce sotto accusa: "I bisognosi non si distinguono per nazionalità"

"Niente cibo gratis agli stranieri". E l'ente benefico finisce nella bufera

La scelta della Tafel e.V., associazione di beneficienza che distribuisce il cibo alle persone povere, è già diventato un caso nazionale. A dividere profondamente la Germania è stata la scelta di dare i pacchi alimentari solo ai cittadini tedeschi. Una vera e propria rottura con quanto fatto sinora maturata dopo che negli ultimi tre anni, come racconta il Corriere della Sera, il numero degli immigrati, che andavano a bussare alla loro porta per avere qualcosa da mangiare, è più che raddoppiato. "Nel mese di dicembre - hanno fatto sapere dalla Tafel e.V. - gli stranieri sono stati il 75 per cento".

"I bisognosi - tuonano le altre associazioni benefiche - non si possono distinguere per nazionalità". La polemica è subito montata e ad Essen, città del Nord Reno-Vestfalia dove opera la Tafel e.V., sono piovute critiche da tutta la Germania. "Il bisogno - ha fatto eco Jochen Bruehl, il presidente dell'associazione federale che raggruppa le 900 banche del cibo tedesche - viene prima di tutto e in nessun caso deve pesare l'origine". Ma la Tafel e.V. non è disposta a fare un passo indietro. Anzi, Jörg Sartor ha difeso spada tratta di "non accettare nuovi stranieri oltre a quelli già registrati". "Negli ultimi anni il pensionato, la vedova, la ragazza madre tedeschi hanno smesso di venire da noi perché si sentivano a disagio a stare in fila accanto a giovani extracomunitari che non rispettano le regole, cercano di passare avanti, spingono - ha spiegato al Corriere della Sera - vogliamo ristabilire un equilibrio, è solo una misura di emergenza temporanea, forse fino alla primavera. E comunque, ancora adesso 7 su dieci di quelli che aiutiamo sono stranieri".

In Germania la Tafel e.V., che non riceve alcun sussidio statale, assiste 1.800 famiglie.

"Anche se molti rifugiati pensano di aver diritto al nostro aiuto, il nostro resta un lavoro aggiuntivo, non siamo la Croce Rossa o la Caritas - ha puntualizzato Sartor - è lo Stato, cioè la politica a dover assicurare che nessun bambino abbia fame, a prescindere da dove viene".

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