Rifugiati in vacanza in patria ​con i soldi dei cittadini

In Svizzera i conservatori dell'Udc denunciano: "I rifugiati eritrei tornano in patria per le vacanze. Ma non erano perseguitati?" In Italia qual è la situazione?

Rifugiati in vacanza in patria ​con i soldi dei cittadini

Rifugiati perseguitati nel proprio Paese che ritornano in patria per... trascorrervi le vacanze. Succede nel cuore dell'Europa. Per la precisione nella civilissima e precisissima Svizzera.

Da qualche tempo la stampa e alcuni partiti politici hanno denunciato quello che è balzato agli onori delle cronache come "il caso dei finti rifugiati eritrei". Si tratta di diverse migliaia di persone provenienti dal Corno d'Africa che hanno ottenuto o hanno fatto domanda per ottenere l'asilo politico. Una forma giuridica di protezione riconosciuta a livello internazionale solo a condizioni ben determinate - condizioni che includono il rischio di persecuzioni o di minacce per l'incolumità fisica in ragione della propria appartenenza religiosa, politica, razziale, sociale o nazionale.

Il rifugiato, dunque, in linea teorica fugge da un Paese che ne minaccia l'incolumità o da cui è perseguitato. Per questo la Svizzera vieta i viaggi in patria per i rifugiati se non per motivi eccezionali. Sono invece consentiti i viaggi verso Paesi terzi, dietro richiesta al Segretariato di Stato per la Migrazione.

Ebbene, dal 2011 ad oggi, secondo le cifre fornite dallo stesso Segretariato, ben 40.500 rifugiati e 9.500 richiedenti asilo o ammessi provvisoriamenti sono stati autorizzati ad espatriare. In gran parte eritrei, ma anche somali e iracheni. Non viaggiano direttamente verso il loro Paese d’origine, ma passano attraverso altri Paesi europei – a volte anche l’Italia.

Per concedere loro il rimpatrio, però, le autorità eritree si fanno pagare. Secondo il quotidiano elvetico “Les Temps”, il consolato di Ginevra chiede una tassa del 2% del reddito e la sottoscrizione di una “lettera di pentimento” in cambio dei documenti necessari. Del resto il regime eritreo – dove il dittatore Isaias Afewerki è al potere ininterrottamente dal 1993 – è affamato di valuta straniera e di fronte al denaro estero è disposto a chiudere un occhio sulle questioni politiche.

In Svizzera, però, la questione non ha mancato di sollevare polemiche, e non solo per il racket legato al traffico di documenti che graviterebbe intorno all’ambasciata di Ginevra. Alcune forze politiche, a partire dai conservatori dell’Udc, chiedono un giro di vite: chi fa ritorno in patria non dovrebbe più essere considerato rifugiato.

Infine – dettaglio non indifferente – moltissimi rifugiati o richiedenti asilo ricevono sussidi da parte dello Stato Svizzero. Che in alcuni casi verrebbero impiegati proprio per pagare le ferie in quella patria da cui sono fuggiti perché perseguitati.

Ma in Italia qual è la situazione? Abbiamo contattato le autorità consolari eritree a Roma e un funzionario ci ha confermato che anche Italia vi sono casi di questo genere. “Se vanno in Eritrea non ci sono rischi - ci spiegano al telefono – Anche se noi non abbiamo dati sui numeri di quanti fanno ritorno”.

Ma allora, se non c’è rischio, perché queste persone hanno ottenuto lo status di rifugiato? “Questo non lo so: quando un cittadino eritreo ci chiede di andare e ha le carte in regola, noi gli forniamo un servizio. Le persone fanno quello che vogliono”.

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