Mondonico, Special one della B ma con «zeru tituli» sui giornali

L’Adda è un fiume per scrivere. Sarà l’odore della nebbia, sarà il silenzio dei campi coperti dalla galaverna, sarà perché lungo queste acque nacque Valentino Mazzola, il sito è Cassano d'Adda, sarà perché a Rivolta, che nulla ha a che fare con le ribellioni e i sommovimenti ma altro non è che una Riva Alta, a Rivolta d'Adda, dunque, c’è un tipo che da mille e più partite di football se ne sta in panchina, a spiegare, illustrare, maledire, deridere, soffrire, gioire. Emiliano Mondonico è il tipo, sedentario per mestiere ma anima ribelle, quella sì, dei tempi antichi, quando in panchina ci stavano gli Angeleri e i Cadè che lui cancellerebbe dall’enciclopedia degli allenatori nella quale invece tiene un segnalibro per Titta Rota, Radice e Babo Nolli, con nota a margine per Donati. Figurine di un altro Mondo, di un altro football. Bei tempi, quando Emiliano si faceva squalificare apposta per andare a sentire i Rolling Stones in concerto. Altri tempi, quando Emiliano frequentava il Beltrami, nel senso di scuola per diventare geometra. Altri tempi quando nel ritiro di Roncegno, nottetempo, lui, insieme con qualche compagno di merenda, azzannava uno, due salami portati in dono dal Miglioli, che era il vicepresidente di una Cremonese profumata di provincia bella e godereccia, con lo stadio costruito dietro il Foro Boario.
Lo chiamavano Wanda Osiris, per come faceva la soubrette, il calcio era un gioco e non ancora una professione, la testa andava altrove, musica e femmine, vita dolce ma non proprio dolce vita, cioè film. Dicono alcuni dei suoi calciatori, i più grandi da lui allenati, che ogni volta che uno sbagliava un passaggio, uno stop, un gol, un’idea di gioco, lui, quel «bastardo dentro» del Mondo, da bordo campo, mimasse il gesto del cineoperatore, quello che girava la manovella, per riprendere il cinema lì davanti, la gaffe e la gag, e il malcapitato, davanti a spalti gremiti, si sentisse un fesso qualunque.
Mille e più panchine dopo, Emiliano Mondonico ama sempre i salami, i Beatles e gli Stones, ogni tanto si fa squalificare non per un concerto rock ma perché ha mandato a scopare il mare qualche tifoso molestatore, sta in cascina, tra cavalli e cani, va a pesca, si è messo in testa di salvare l’Albinoleffe, destinata, fino allo scorso autunno, ad affondare insieme con i propri dubbi, le proprie paure.
Mondonico ha una carriera con il compasso, preferibilmente non è mai andato oltre l'apertura massima dell’attrezzo. Quando ci ha provato, tra Napoli e Cosenza, ha risalito in fretta il Paese, si è fermato a Firenze, ha conosciuto i Della Valle, si è esonerato da se medesimo, è tornato a respirare la nebbia della Bassa e a usmare l’Adda, per vivere e non sopravvivere di calcio.
Lo hanno richiamato all’AlbinoLeffe, Madonna aveva appena rivisto la luce nelle ultime due partite, andando a vincere a Mantova e pareggiando in casa con il Crotone, ma cinque punti nelle prime sette partite erano davvero poco, anzi troppo. Dunque il Mondo ha mollato i cavalli e i cani e ha scelto di occuparsi di bipedi umani meno docili e preziosi: totale ventisette punti in sedici incontri, una situazione di classifica tranquilla dopo la depressione d’avvio, il calcio ragionato, essenziale, italianista nel senso buono dell’aggettivo bestemmiato, invece, da chi non conosce il gioco e la tattica. In panchina Wanda Osiris si è trasformato, al posto di rose rosse, scalinate e ti parlerò d'amor, si può notare un allenatore puntiglioso, tosto, furbo, pratico. Pure sanguigno e teatrale: del vecchio cuore granata resta il fotogramma storico, di una sedia sventolata nel cielo di Amsterdam, la notte della finale Uefa contro l'Ajax, dopo aver eliminato Boavista, Aek, i danesi del B1903 e, attenti, il Real Madrid. I tifosi atalantini non dimenticano l'avventura di coppa delle Coppe conclusasi in semifinale con il Malines-Mechelen, dopo aver fatto fuori gallesi impronunciabili (Merthyr Tyfdil), i greci dell'Ofi Eraklion e i portoghesi dello Sporting Lisbona. Roba grossa che pochi hanno voglia di rammentare, al di là del folklore.
«Come legge lui le partite, nessuno, mai». Parole e pensieri di Moggi Luciano che mille ne ha avuti (Mondo al Torino) e mille ne ha fatti, tenuto di conto che gli ultimi tre sono alla guida della nazionale inglese, di quella italiana e del Chelsea football club. Ma Mondonico (chissà perché il computer, maledetto, quando digito il cognome sostituisce la «d» con una «s», forse il vento della sua giovinezza scapigliata, chissà), il Mondo, dicevo, non spaccia calcio, non va in televisione ad aizzare le folle, opina, spiega con quel tono un po’ da predica domenicale, tenendo da sempre e per sempre le maniche della giacca appena arrotolate, come i calzettoni di Gigi Meroni, e il nodo della cravatta allentato, come dopo una notte di salumi e affini. Per l'appunto «fatti non parole» potrebbe essere il suo slogan. Oggi radiomercato propone cognomi illustri, allenatori di fama e di fame, cortei di disoccupati e preoccupati ma nessuno osa citare Emiliano Mondonico. Non fa tendenza, non è di moda, il suo vocabolario calcistico è datato, come un bignamino da consultare clandestinamente.

In verità consultandolo si scopre un lessico moderno e antico assieme, si capisce che Emiliano sa di calcio perché da ala destra lo osservava e da panchinaro lo ha studiato e può insegnarlo. La serie B ha il suo special one ma fa fatica, quasi fastidio, a parlarne, anzi, sui giornali e in tivvù, zeru tituli. Meglio così. Dopo la partita il Mondo taglia una fetta di salame e torna a pescare sull'Adda.

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