Moni Ovadia e un Brecht «a frammenti»

Uno spettacolo costruito sull’idea del frammento, dell’assaggio, del segmento isolato dal tutto ma significativo proprio perché inserito in un tutto. Quasi fossimo alle prese con un montaggio delle attrazioni votato a parlarci di Storia, politica, attualità, etica, estetica e ideologia attraverso quella combinatio oppositorum che tanta parte ha nella teoria teatrale del «grottesco». Base di partenza: Le storie del signor Keuner di Brecht, silloge di brevi racconti che, nel lavoro di Moni Ovadia e Roberto Andò ora di scena al Parco della Musica (Sala Petrassi), offre materia a una serie di argute invenzioni sceniche accomunate, essenzialmente, dall’esigenza di dare spessore performativo a un materiale di tipo letterario. Di qui l'affastellamento di detriti scenografici (finestre rotte, pareti fatiscenti, lampadine appese, una pedana scorrevole che duplica in altezza il piano della rappresentazione, fantocci «vivi» che richiamano La classe morta di Kantor) dominati dagli incisi intarsi video nei quali le parole di Brecht vengono lette da, tra gli altri, Massimo Cacciari, Alessandro Bergonzoni, Oliviero Diliberto, Claudio Magris, Milva, fino alla straordinaria risata-sberleffo con cui Dario Fo chiude il lavoro.

E dentro questo museo ecco muoversi l’anziana figura evocata dall’ottuagenario Ivo Bucciarelli; ecco il mafioso russo con tanto di candido tutù; ecco la brava Lee Colbert citare la Marlene Dietrich de L’angelo azzurro; ecco la Moni Ovadia Stage Orchestra in abiti femminili anni Trenta; ecco i richiami a Kafka, al nazismo, a Totò Riina, alla spazzatura di Napoli, ecco lo stesso Ovadia/Benjamin tenere insieme le fila del discorso come «curatore» di una mostra sospesa tra passato e presente.

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