Montanelli, un fuoriclasse anche in Tv

In occasione del centenario del giornalista, Raisat Premium ripropone filmati, reportage e interviste di "un innovatore del piccolo schermo". Mario Cervi: "Non guardava la televisione ma sapeva tutto dei suoi personaggi"

Montanelli, un fuoriclasse anche in Tv

Durante uno dei loro ultimi faccia a faccia televisivi, Enzo Biagi incalzò Montanelli sulle annose polemiche successive alla sua uscita dal Giornale: «Avresti mai immaginato, Indro, che ti avrebbero accusato di essere di sinistra?». E lui, il decano di Fucecchio, non seppe trattenere un sorriso divertito: «Questo veramente è il coronamento della mia vita, e quindi lo accetto con una certa allegria. Mi doveva succedere anche questo, e mi è successo».
Qualcos’altro però doveva ancora accadere, e se fosse ancora vivo lo lascerebbe a bocca aperta, ma forse neanche troppo. Di venir celebrato, nell’anno del centenario della sua nascita, quale divo del piccolo schermo.

Al Montanelli che non ti aspetti, a quell’accigliata immagine televisiva radicata nell’immaginario degli italiani almeno quanto la forza della sua penna, è dedicato il ciclo di otto puntate che RaiSat Prem1um manderà in onda a partire da domani. Il programma, presentato ieri nella sala che il Corriere della Sera ha intitolato al Giornalista Controcorrente, è il frutto della ricerca certosinica dell’autore Nevio Casadio tra gli oltre quattromila videodocumenti custoditi nelle Teche Rai. Ne emerge un personaggio dai mille volti, alcuni inediti ai più, certamente meno affine al costumato ruolo di alfiere della carta stampata contro lo strapotere dei multimedia. Di colui che, per intenderci, chiese al cardinal Martini se si potesse scomunicare la televisione e «mandare al rogo un po’ di quelli che la fanno». Oppure di colui che, con la consueta vèrve, dichiarò che oggi, per instaurare un regime «non c’è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul palazzo d’Inverno.

Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra di essi, sovrana e irresistibile, la televisione». Dal documentario «Montanelli Tv», che ripercorre il succo delle sue esperienze in Rai dal 1959 in poi, si evince che la televisione il grande Indro non soltanto non la detestava, ma sapeva anzi adoperarla con raffinata maestrìa e con la creatività che Carlo Freccero definisce oggi «del grande innovatore». Di sicuro Montanelli sapeva come «bucare lo schermo», sia che interpretasse il ruolo di conduttore, sia di intervistatore, o di intervistato, di opinionista o di presentatore. Lo vedremo, come pioniere di quella che oggi verrebbe definita docufiction, giocare in duetto con Dino De Laurentiis, Giovannino Guareschi o Alberto Moravia nel ciclo di video-Incontri sugli angoli segreti e grotteschi della cultura italiana. E poi ancora puntare la telecamera sui difetti degli italiani («il popolo senza attributi»), inventando un modello di satira giornalistica che utilizzava comici di professione come Nino Manfredi, Raffaele Pisu o Alberto Sordi. O ancora nei documentari degli anni ’70 sulle città d’arte del Belpaese come la sua Firenze, di cui già metteva a nudo i prodromi della decadenza o, nel caso di Venezia, «della decomposizione».

Ma anche nelle più crude analisi giornalistiche, il Montanelli televisivo è un Montanelli diverso da quello degli editoriali scritti con la «Lettera 22» che non lasciavano scampo quando sentenziavano: «Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente». Davanti alla telecamera, fa notare Aldo Grasso, Indro sapeva «recitare», ma soprattutto sapeva usare il linguaggio del corpo perché sapeva di piacere. E si piaceva. Così si divertiva a coinvolgere i suoi interlocutori in un teatrale gioco delle parti anche sui temi più severi. Chi gli stava al fianco, fossero autorevoli colleghi o personaggi della politica, era puntualmente surclassato dall’eleganza del suo portamento, dalla gestualità affusolata ma decisa, dal look anglosassone e vellutato, e dal tono baritonale in cui una leggera balbuzie pareva rincarare i concetti anziché farli incespicare.

Una superiorità che, ricorda Grasso, Enzo Biagi aveva ben chiara tanto che, nei duetti tv sui destini del Paese, si autorelegava al ruolo di spalla come Carlo Campanini con Walter Chiari. Non così il «cuneese» Giorgio Bocca che, tutte le volte, lo fronteggiava à la guerre comme à la guerre.

«E perdeva sempre», salvo poi rinfacciargli, incredibile a dirsi, la maggior conoscenza del mezzo televisivo. Una conoscenza che, ancora oggi, stupisce l’eterno compagno di viaggio Mario Cervi: «Indro la televisione non la guardava mai. Eppure poi scoprivo che sapeva tutto dei suoi personaggi...».

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