Mosca vuole entrare nell’Opec: il petrolio vola

Il presidente russo, Medvedev: "Pronti ad aderire, dobbiamo difendere la nostra fonte di reddito". A New York il barile sfiora quota 50, con un balzo di sei dollari. Il Cartello verso un "severo taglio della produzione"

Il lungo corteggiamento è forse finito: la Russia è pronta a entrare nell’Opec. Quella che sembrava solo un’ipotesi remota fino a non molto tempo fa, nonostante i ripetuti tentativi dei signori del petrolio, è ieri diventata un’opzione ad alta probabilità di successo dopo le parole del presidente russo Dmitry Medvedev: «Siamo pronti a farlo, dobbiamo difendere la nostra base di reddito: petrolio e gas». Un’eventuale adesione di Mosca al Cartello avrebbe un impatto non indifferente sotto il profilo degli approvvigionamenti mondiali: la Russia produce oltre 9,5 milioni di barili al giorno di greggio, una cifra perfino superiore ai 9,2 milioni circa dell’Arabia Saudita, primo produttore dell’Opec. L’organizzazione si basa infatti su un sistema strutturato per quote produttive, quasi mai rispettate dai litigiosi quanto anarchici membri dell’organizzazione, ma che trova una sua efficacia nel momento in cui - collettivamente - viene deciso il modo in cui rispondere alle esigenze dei mercati, tagliando o aumentando l’output. Se la Russia diventasse «socio» Opec, il potere del Cartello aumenterebbe automaticamente: nel caso di una riduzione dell’offerta decisa assieme al gigante dell’Est Europa, l’impatto - anche dal punto di vista psicologico - risulterebbe decisamente superiore rispetto a una mossa di contenimento concordata dagli attuali 13 componenti. Che oggi rappresentano il 43% della produzione mondiale: con Mosca arriverebbero al 50%. L’Opec sta accusando una perdita di peso politico nei confronti del mercato, in parte legata alla crisi globale, in parte causata appunto dalla sistematica inosservanza delle quote. All’ultima riduzione da un milione di barili al giorno non ha corrisposto l’attesa ripresa delle quotazioni, che hanno anzi continuato a scendere. Ieri, però, i prezzi sono tornati a sfiorare i 50 dollari a New York, con un rialzo di sei dollari rispetto a mercoledì, non solo per il «taglio severo» della produzione minacciato dal numero uno dell’Opec, Chakib Khelil, in vista del vertice che si terrà ad Orano il 17 dicembre. Alla spinta in avanti ha contribuito anche il rapporto mensile dell’Aie, secondo il quale la domanda di petrolio calerà quest’anno per la prima volta dopo 25 anni, per riprendere a salire già nel 2009. Una valutazione inattesa, alla luce dei timori di un peggioramento della recessione mondiale. Naturalmente, le dichiarazioni di Medvedev non sono passate inosservate sui mercati. Anche perché il presidente russo sembra già in piena sintonia con i futuri «colleghi» sulla necessità di fornire meno greggio: «Sono i nostri interessi nazionali. Noi continueremo a fare quello che riteniamo necessario, non dobbiamo essere guidati da criteri astratti, o dalle raccomandazioni di organizzazioni internazionali». Un paio di giorni fa, peraltro, il ministro dell’Energia, Sergei Shmatko, aveva spiegato che la Russia avanzerà proposte sul contenimento della produzione prima del prossimo summit Opec.

Quanto all’adesione al Cartello, Mosca aveva finora mantenuto un atteggiamento di prudente distacco nonostante le avance dei signori del petrolio (che fanno pressing anche su Norvegia e Messico). Il crollo delle quotazioni (circa 100 dollari in meno dal picco del luglio scorso) deve essere stato un motivo più che convincente per un rapido cambio di strategia.

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