«Moschea a tempo» anche in Galleria: la preghiera islamica davanti ai negozi

«Una cosa così, è la prima volta che mi capita. E dire che in 130 anni ne abbiamo viste di tutti i colori». Giorgio Bernasconi è il titolare del negozio di argenteria in Galleria Vittorio Emanuele e quando l’altro pomeriggio ha visto un gruppo di arabi inginocchiarsi di fronte alle sue vetrine per pregare, quasi non ci voleva credere. Qui, nel «salotto di Milano, spiega il signor Bernasconi, ogni tipo di manifestazione deve essere autorizzata. Ci sono i vigili che segnalano persino quando un artista appoggia un treppiede su un mosaico e se qualcuno si azzarda ad andare in bicicletta, scatta la multa.
«E invece a loro non hanno fatto nulla, non hanno nemmeno controllato i documenti». Ma andiamo con ordine. È mercoledì pomeriggio, in centro è pieno di turisti, di gente che va a passeggio in una giornata che sembra un assaggio di primavera. Sono le 17 in punto e un gruppetto di arabi si ferma in mezzo alla Galleria Vittorio Emanuele. Sono in sette, si tolgono le scarpe, stendono la giacca per terra come a fargli da tappeto. Si inginocchiano e con gli occhi rivolti alla Mecca iniziano a pregare. Uno di loro li guida, tenendo il Corano in mano e leggendo i versetti ai fedeli tra lo stupore delle persone che rimangono lì, senza parole, ad assistere ad uno spettacolo mai visto. E che per una manciata di minuti trasforma la Galleria in una moschea. Sul posto, c’è anche una giornalista di Telelombardia che cattura le immagini per poi mandarle in onda nell’edizione serale del loro telegiornale.
«Quando li ho visti, lì davanti alla mia vetrina, mi sono avvicinato a loro per chiedere di spostarsi e mi hanno chiesto se parlavo inglese. Un altro parlava italiano», continua a raccontare Bernasconi. È chiaro che non gli ha fatto piacere vederli davanti alle sue vetrine. «L’ho fatto presente ai vigili, ma loro mi hanno risposto che stavano pregando e non potevano fare niente. La Galleria è un salotto e come tale bisogna trattarlo. Mi hanno spiegato che quando arriva il momento della preghiera, in qualsiasi luogo si trovino, si inginocchiano e iniziano la loro liturgia. Però...».
Però siamo a Milano, non in Arabia e per il signor Bernasconi è evidente che si è trattato di una provocazione. Se proprio volevano, potevano trovarsi un altro angolino, molto più riservato e meno in vista. Non come questo, a due passi dal Duomo e da piazza della Scala, un luogo simbolico di Milano che tutti conoscono, italiani e stranieri. «Il significato della Galleria è evidente.

Ma poi, dico io: provi ad andare lei nel loro Paese e a tirare fuori un crocifisso e a vedere quello che succede».
Sono le 17.15, gli arabi si alzano, tolgono le giacche da terra e si rimettono le scarpe. Si mescolano in mezzo alla gente, come se nulla fosse. La preghiera è finita.

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