Mou, chi credi di essere... O meglio: non essere

di Tony Damascelli
Bisogna avere la faccia come Mourinho per censurare l’arbitro dopo la partita con il Bari. Bisogna avere la faccia come Mourinho per dire che «in Italia conta soltanto il risultato» e poi assistere alla sua sceneggiata con ballo di san Vito, dopo la vittoria sul Siena. Bisogna avere la faccia come Mourinho per annunciare che prossimamente vorrà parlare con Galliani, un minuto soltanto, per dirgli cose che non può riferire in televisione.
Ma chi è? Ma chi si crede di essere? Ma è questo il professionista speciale, diverso da tutti gli altri? È lui lo stesso che attaccò Poll, l’arbitro di Tottenham-Chelsea, dicendo che, testuale come nel “caso” Rosetti, «soltanto lui può spiegare perché non ha espulso... soltanto lui, se lo incontro gli chiederò di spiegarmelo...»? È Mourinho quello che definì Lionel Messi un «calciatore teatrale» portato a cascare spesso e volentieri, dopo la sfida di coppa tra Chelsea e Barcellona? È lui quello che accusò lo svedese Frisk, arbitro sempre di Barcellona-Chelsea, di aver condizionato il risultato della partita (sempre come Rosetti e altri arbitri italiani), dopo aver ricevuto la visita di Rijkaard nello spogliatoio? È lui quello che venne intercettato, guarda un po’ le combinazioni, e punito per aver incontrato, insieme con il dirigente del Chelsea Peter Kenyon, il difensore dell’Arsenal Ashley Cole, all’hotel Royal Park di Lancaster Gate, per convincerlo a passare ai Blues e per questo fu condannato a una pena pecuniaria poi ridotta in appello? È lui quello che attaccò Ferguson, dopo la semifinale di andata di Carling cup, tra Manchester United e Chelsea, dicendo che aveva influenzato l’arbitro, nell’intervallo? È lui quello che disse di avere preparato un dossier su Arsene Wenger, allenatore dell’Arsenal, definito un “voyeur”? È lui quello che disse di Andrew Johnson dell’Everton «è un perfetto cascatore»? È lui quello che a un giornalista che gli mostrava, in Inghilterra, il titolo di un quotidiano, “Mou come la Ferrari”, replicò: «Quanto mi paga la Ferrari per questa pubblicità?». È lui quello che a un altro giornalista che lo paragonava ai grandi esploratori portoghesi come Vasco da Gama o Magellano, rispose: «No, loro non sapevano dove andavano, io lo so benissimo». Mi limito alle piccole cose accadute in Inghilterra, suo Paese di elezione, trascuro le beghe da cortile nostrano. Nessuno discute il personaggio e la personalità, nessuno può mettere in dubbio, se non per malafede o faziosità, le qualità del professionista, il suo impegno negli allenamenti (il lavoro è un’altra cosa, please), la sua competenza e, infine, la proprietà di linguaggio e di affabulazione, confortata dal fascino ricercato della sua immagine, quella che gli inglesi definiscono five o’ clock shadow, la barba incolta prima della partita, da reduce attraente. Ma proprio qui sta una delle sue chiavi vincenti: giocare sulla psiche, dei propri giocatori, dello staff, degli avversari, degli arbitri, della stampa, fino al momento in cui il re non resta nudo, qualcuno non si accorge che anche lo Special One ha qualche “segreto”, qualche nervo scoperto e lui teme di venire sconfitto, messo all’angolo, ridotto a essere normale e allora parte all’attacco, nasconde la magagna, l’errore, l’omissione, dirotta la discussione su altro, su altri, oppure ricorre alla provocazione, verbale, in alcuni casi sembra anche fisica.
José Mourinho pensa ancora di essere sbarcato in Italia per insegnare la cultura del calcio dimenticando di essere lui stesso al centro di questa cultura, dimenticando che questo Paese, così becero e aggressivo in molti comportamenti, ha vinto quattro titoli mondiali e si può prendere il lusso di assumere un professionista come il portoghese. L’Inter, comunque, è la più forte, per peso tecnico e per potere finanziario, il suo dominio in campionato è indiscutibile, lo sarebbe, e lo è stato, anche con un altro allenatore.


Il resto, il pareggio con il Bari, all’andata e al ritorno, e il prossimo appuntamento con Galliani (ma lui dovrebbe dialogare con Leonardo oppure ritiene di essere così speciale da poter sostituire, politicamente, l’amministratore delegato Paolillo o il presidente Moratti?), fanno parte del teatrino al quale siamo costretti. Si prevedono altre recite.

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