Piera Anna Franini
da Ravenna
Nel 1997 Ravenna Festival tracciava la prima delle sue «Vie dell'amicizia», solcando il mare Adriatico per raggiungere Sarajevo, la città martire bosniaca. Poi era la volta di Beirut, Gerusalemme, Mosca, Erevan, Istanbul... Oggi inteso come 17 luglio - la carovana della manifestazione di Cristina Mazzavillani Muti sta attraversando il Mediterraneo, acque crogiolo di civiltà, di vie marittime segnate da diecimila anni di comunicazione. Lapprodo è Meknès, città imperiale di un Marocco sempre più da intendersi come ponte culturale, politico e religioso verso lEuropa, prezioso anello di congiunzione fra due continenti.
Per ribadire il concetto, il direttore dorchestra Riccardo Muti ha scelto un programma nel nome di Giuseppe Verdi. Il Verdi autore di Don Carlos e de La forza del destino, titoli pensati per palcoscenici stranieri, rispettivamente di Parigi e di San Pietroburgo, emblema dunque di unitalianità pronta a viaggiare nel mondo. Nella seconda parte della serata, e sempre sullonda della seconda stagione creativa di Verdi, abbiamo ascoltato Stabat Mater e Te Deum dai Quattro pezzi sacri.
Pagine salde nella bacchetta di Muti, quasi una sua seconda pelle, che hanno avuto il pubblico collaudo ieri, al Pala de André di Ravenna, lappuntamento che qui recensiamo. Muti ha chiamato a sé un Coro e unOrchestra particolarmente cari, quelli del Maggio Musicale Fiorentino, e tre cantanti chiave del melodramma italiano, il soprano Barbara Frittoli, il mezzosoprano Sonia Ganassi e il basso Ferruccio Furlanetto. In apertura, un fulmineo Inno dItalia mosso a confronto con la regalità profumata dOriente dellInno del Marocco. Le sei squilla di trombe, che ti sprofondano nellabisso, introducono il bruciare dellansia che incalza la Sinfonia della Forza del Destino. Il dolore del flauto trova sostegno nella compattezza degli archi che cedono a un canto teso fino allo spasimo e di breve vita: incombe il destino, appunto. Sinfonia acclimatatrice che prepara la decima scena del secondo atto affidata alla voce tersa, ma meno dun tempo, della Frittoli e al canto tutto sulla parola di Furlanetto. Poi giù il teatro con lingresso della Ganassi nei panni di una principessa Eboli prima ammaliatrice e sinuosa più che mai (Nei giardini) quindi convulsamente drammatica (O don fatale). Bella voce, la sua, dal morbido velluto, salda come una roccia quando orbita nel registro grave, capace di sgattaiolare in alto con scioltezza, anche tra le efflorescenze del belcanto: scolpite o accarezzate, a seconda della bisogna e sempre con una tecnica superba. Musicalità squisita. Un successo personale. Il canto malinconico di un violoncello e il trascinarsi stanco dei violini ambientano il monologo amaro di Filippo II, un Furlanetto in bilico fra la commozione delluomo e i toni solenni del Re. Questa stessa squadra, che capitanata da Muti e con un simile programma imbevuto di Spagna - dopotutto moresca per almeno otto secoli: ecco il ponte verso il Marocco - ha segnato linaugurazione dellauditorium e del Festival a San Lorenzo de el Escorial, il 5 luglio, alla presenza dei reali di Spagna.
Atmosfera ravennate, ieri, segnata dalla presenza di volti noti, quelli ormai di rito al concerto che precede le trasferte del Festival nelle città amiche.
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