T redici sguardi per 140 immagini di maestri giapponesi della fotografia che raccontano la vita, le città, la cultura, le tradizioni e le contraddizioni del Sol Levante dal 1950 ad oggi, travolto dall'impeto dell' industrializzazione. «Nippon Kobo» (laboratorio giapponese) è il titolo della mostra a cura di Pascal Hotel e di Alessandro Mauro allo spazio Forma che presenta, per la prima volta a Milano, lo storico gruppo di fotografi fondato nel 1933 da Yonosuke Natori e Ihei Kimura.
I protagonisti sono: Shoji Ueda, Shomei Tomatsu, Eikoh Hosoe, Ikko Narahara, Daido Moriyama, Nobuyoshi Araki, Ryuji Miyamoto, Hiroshi Yamazaki, Hiroshi Sugimoto, Naoya Hatakeyama Miyako Ishiuchi, Taijli Matuse. Apre la rassegna Kimura (1901-1974), indiscusso maestro del realismo fotografico, il Cartier Bresson nipponico, attratto dal reportage sociale e dall'uso di apparecchi 35 mm, che mette a fuoco luoghi, gesti, volti e il lavoro di tutti i giorni di un Giappone ancora legato alla tradizione, lontano dalle vedute moderniste contemporanee.
Con Ueda (1913) cogliamo scenari surreali delle dune di Tottori, che diventano un palcoscenico ideale per le sue rappresentazioni oniriche. L'artista è famoso per il suo bianco abbacinante e per i ritratti di familiari trasformati in manichini artificiali. Nel 1958 le sue composizioni lunari e dall'atmosfera magica, nel 1958 gli valgono l'invito di Steichen ad esporre al Moma di New York. Tomatsu (1930), dopo una parentesi dadaista e surrealista, si avvicinò alla «straight photography», e nel 1960 fu incaricato di fotografare i sopravissuti della catastrofe nucleare di Nagasaki: basta la fotografia del quadrante di un orologio da polso che segna le «11.02» dell'attimo dell'esplosione, un reperto del «Museo della Bomba» e altre immagini con dettagli di cicatrici e ustioni del corpo per capire il tema: la tragica realtà dell'olocausto atomico. Hosoe (1933, morto suicida nel 1970), passa dalla fotografia documentaria degli esordi negli anni 50 alla sperimentazione di un linguaggio soggettivo che interpreta il Giappone postnucleare. I suoi temi dell'erotismo e dell'omosessualità mettono al centro la rappresentazione teatrale del corpo, come meditazione sulla vita, l'amore e la morte. Nel 2006 gli venne attribuito il «Visionary Lucie Award», l'«Oscar della fotografia». Narahara (1956), immobilizza con distacco e phatos istanti della vita quotidiana dei minatori dell'isola artificiale di Hajima e degli abitanti di Kurokami, costretti a convivere sotto continue piogge di cenere prodotte dal vicino vulcano e coglie la quiete meditativa di un monastero trappista a Hokkaido, contrapposta alla solitudine di donne di una prigione femminile a Wakayama. Le istantanee di Moriyama (1938) sono mosse, a contrasto, scattate da un finestrino di un auto, e riprendono militari e ragazzi, insegne pubblicitarie che testimoniano l'americanizzazione del Giappone. Araki (1940), acquista fama internazionale per il suo "Sentimental Journey", diario fotografico della nozze con Yoko, sua moglie-musa, e per aver trasformato la fotografia in un linguaggio intimo, emozionale e narrativo del suo vissuto quotidiano. Miyamoto (1947) lavora invece come fotografo di architettura per una rivista di settore; lo affascinano i crolli degli edifici, il momento in cui, per cause naturali o per scelte urbanistiche, si trasformano in un ammasso di macerie. Yamazaki (1946) è minimalista nella sua ossessione di rappresentare il movimento del sole sulla linea dell'orizzonte, impossibile da percepire ad occhio nudo.
Sugimoto (1948) è un esponente della fotografia concettuale, attratto dal cogliere il vuoto pieno di attese, come rappresentano i suoi teatri «prima della Prima». Con Hatakeyama (1958), dal rigore del bianco e nero si passa al colore, che iconizza paesaggi urbani e industriali che mettono a fuoco come l'uomo modifichi l'ambiente naturale, a partire dallo scavo delle cave di marmo da cui si ricava la calce, materia prima del cemento con il quale si edificano città. Ishiuchi (1947), unica donna del gruppo nipponico, dagli anni 80 approfondisce una ricerca originale che ha per oggetto il corpo umano e l'inesorabile trascorrere del tempo. Nel 2005 l'artista è stata invita a rappresentare il Giappone alla Biennale di Venezia con unopera dedicata agli ultimi anni di vita della madre.
Spazio Forma, piazza Tito Lucrezio Caro 1,
fino al 6 settembre. www.formafoto.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.