Napolitano blinda il governo: prosegua

RomaNo, niente voto. Non se parla nemmeno. «Alla fine della legislatura - dice Giorgio Napolitano - mancano più di due anni». E scordatevi pure i ribaltoni, perché «io terrò ben conto della volontà espressa dal corpo elettorale nel 2008». Del resto quella degli scioglimenti anticipati è proprio una brutta cosa, «un’improvvida prassi tutta italiana di cui speravamo di esserci liberati». L’Europa è ancora in mezzo alla tempesta economica e al Belpaese non servono crisi e risse tra i partiti ma «stabilità e un salto di qualità della politica». Per questo, assicura il capo dello Stato, «io insisterò nel sollecitare la continuità della vita istituzionale».
Dunque il Cavaliere può, deve, andare avanti. «La sorte di ogni governo è decisa dal Parlamento, che accorda o revoca la fiducia. La durata delle legislature è fissata in Costituzione in termini analoghi a quelli delle altre democrazie e corrisponde al tempo necessario per l’attuazione di un programma di adeguato respiro». Il Cav può andare avanti «sempre che, beninteso, vi sia la prospettiva di un’efficace azione governativa», cioè se riuscirà ad avere numeri solidi per la sua maggioranza. Se quei numeri non li avrà, questo è il consiglio di Napolitano, si dia da fare, faccia politica: «L’esperienza ci dice che anche in sistemi maggioritari è pur sempre la politica, l’evolversi dei rapporti e dei conflitti e la capacità di padroneggiarli, che determina la stabilità della coalizione premiata dagli elettori».
Insomma, ragazzi, un po’ di fantasia: se non ce la fa da solo, il premier apra al centro. «La democrazia dell’alternanza, conquistata nel 1994, non deve essere messa in forse. Si guardi tuttavia a come in Europa Paesi con sistemi da lungo tempo fondati su schemi bipolari o bipartici consolidatisi nei decenni stiamo conoscendo mutamenti di scenario e sperimentando le soluzioni che risultano possibili e opportune». Se in Gran Bretagna è spuntato il terzo polo liberale che si è alleato con i tories, se in Germania hanno varato addirittura una grosse koalition, perché in Italia Berlusconi non potrebbe allargare la sua maggioranza coinvolgendo Casini?
Ma è tutto il mondo politico, prosegue il capo dello Stato, a dover fare «un salto di qualità». L’Europa è in difficoltà, la moneta unica sotto attacco e l’Italia «può farcela» però ha bisogno «di uno scatto di volontà». Occorre, «un senso di responsabilità collettivo, uno spirito di condivisione» per affrontare insieme problemi che non sono né di destra né di sinistra ma problemi italiani. Al primo posto «la bassa crescita della nostra economia e la sua scarsa produttività», legata all’obbligo sempre più impellente di ridurre il debito pubblico e di stabilire «una nuova priorità delle risorse». Perché non si può tagliare e basta, in certi settori, come la cultura, si deve anche investire. E poi servono «ripensamenti, correzioni, sacrifici rispetto ad abitudini consolidate». Possibile, si chiede, che non si possa fare «una ricerca bipartisan»?
E ancora, le riforme. Quelle che mancano nel campo istituzionale per diventare bipolari e quelle che devono essere fatte per arrivare al federalismo. «Lo Stato nazionale è cambiato, superando ogni residuo marchio storico di centralizzazione, evolvendo in senso ulteriormente autonomistico e federalistico, secondo un percorso finora condiviso».
C’è qualche applauso nel salone dei Corazzieri. È il quinto discorso sullo stato della nazione che Napolitano pronuncia da quando è al Quirinale e stavolta cade in un momento delicato, a meno di una settimana dal braccio di ferro tra Berlusconi e Fini. Per misurare il gradimento delle parole presidenziali basta guardare le facce scure di Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema e alla fine confrontarle con le chiacchiere salottiere che un allegro Cavaliere si concede durante il successivo ricevimento. «Il presidente - commenta - ha spezzato una lancia per la continuità e questo è in sintonia con quanto noi riteniamo sia interesse del Paese. Riusciremo tranquillamente a irrobustire la maggioranza».

«Apprezzamento» anche dalla Lega. «Un intervento di alto profilo - dice il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni -. Mi è molto piaciuto il passaggio sulla necessità di proseguire verso la creazione di uno Stato federale».

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