Roma Macché strappi, ma quali forzature. «Solo con grave leggerezza - dice Giorgio Napolitano - si può parlare di sospensione della democrazia». In un mese dal Cav al Prof senza passare dal via, cioè dalle elezioni, eppure la democrazia italiana, sostiene il capo dello Stato, gode ancora di ottima salute: «Nulla in questo Paese è stato scalfito, né nelle libere scelte dei partiti, né nelle autonome determinazioni del Parlamento». E nemmeno, come dimostrano gli scioperi di questi giorni, «nella possibilità da parte delle forze sociali di manifestare il proprio dissenso». Quanto al voto, non è stato certo cancellato: «La parola tornerà ai cittadini al termine naturale della legislatura», nel 2013. La politica, «che è insopprimibile», ha già capito e si è adeguata.
Dunque il presidente difende il governo del presidente. Lo fa durante gli auguri di Natale tra le alte cariche dello Stato, spiegando come nel 2011 «è stato scosso il progetto europeo e si sono concretizzati per lItalia rischi assai gravi, non hanno retto i preesistenti equilibri e si sono fatte sempre più stringenti nostre antiche e recenti contraddizioni e insufficienze». In questo quadro evitare le urne «era mio dovere costituzionale, viste le cadute dirompenti che avrebbe potuto avere».
Sullorlo del baratro e con «una situazione internazionale non più sostenibile», bisognava passare dalla «distorta dialettica tra maggioranza e opposizione» a un tentativo di «mobilitazione straordinaria». Il cambio di scenario era quindi necessario. Un governo di solidarietà nazionale sarebbe stata la soluzione migliore, ma era «impraticabile data la lunga, irriducibile contrapposizione, al limite dellincomunicabilità, tra le forze politiche». Io, dice ancora Napolitano, «sono stato neutrale e ho registrato le reazioni delle forze in campo». Poi le cose si sono sbloccate quando Silvio Berlusconi si è dimesso «con grande senso di responsabilità».
Adesso tocca a Mario Monti: «Siamo ancora a rischio, ce la faremo solo con uno sforzo collettivo». In un simile momento era inevitabile affidare Palazzo Chigi «a una personalità estranea alla mischia». Il nuovo esecutivo ha concessa «una larghissima maggioranza, che è chiara espressione di quanto servisse scongiurare, in una fase così critica, una paralisi dellattività di governo e uno scontro elettorale devastante». Nessuno adesso gli faccia la guerriglia.
SuperMario, Napolitano lo sa bene, non avrà vita facile. «Il governo può adottare le soluzioni necessarie, talvolta controverse, persino impopolari, senza essere condizionato da vincoli di convenienza elettorale». Sul tavolo la questione lavoro, con larticolo 18 che ha già infiammato gli animi. «Si discuta liberamente e con spirito critico - è lappello del presidente - ma senza rigide pregiudiziali o eccessi polemici». Ce lha, sembra, con la Fornero ma soprattutto con la Camusso: «Qualunque gruppo sociale si rappresenti, non giovano le battute sprezzanti e le contrapposizioni semplicistiche».
E i partiti? «Facciano la loro parte. Sono voluti restare fuori dal governo e sono stati messi al riparo da unesasperazione patologica del conflitto. Però hanno dimostrato serietà approvando la manovra, che è il nostro contributo alla stabilità delleuro». Ma in attesa di tornare a parlare di alleanze e di ricette per il Paese, «individuino soluzioni ai problemi», visto che «il programma del governo non è onnicomprensivo».
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