Napolitano fa sponda al premier: uso selvaggio delle intercettazioni

RomaUn appoggio no, sarebbe davvero troppo. Ma un minimo di «sponda istituzionale», di non belligeranza, alla fine, dopo un ora di colloquio, il Cav la trova. Certo, Giorgio Napolitano è «turbato come tutta l’Italia» e sconvolto «per la gravità dei reati» contestati al premier. Però, neanche quel malloppo di 400 pagine, quella diffusione disinvolta, «selvaggia», di atti e intercettazioni che dovevano restare segreti, gli è andata giù. Almeno su questo punto, secondo il Colle, la procura di Milano ha sbagliato.
E, ovviamente, il capo dello Stato è anche «preoccupato per le ripercussioni» che il caso Ruby può avere sul quadro politico e sull’economia. Perciò, ricevendolo assieme a Gianni Letta, invita Silvio Berlusconi a rompere gli indugi e a farsi sentire dai giudici: «Bisogna sbrigarsi, il Paese non può restare appeso». Anzi, va governato: «Se davvero ritieni di avere i numeri in Parlamento, vai avanti». Dunque, niente richieste di dimissioni, nessuna pressione per farsi parte: non ci sono le condizioni istituzionali, perché il caso è di competenza dei magistrati e non del Quirinale, e non ci sono le condizioni politiche. Il Cav, se può e se se la sente, deve tenere duro: un vuoto di governo in questo momento sarebbe pericolosissimo, ci esporrebbe ai pescecani della speculazione internazionale.
L’incontro è fissato per le cinque della sera, all’ora del tè, ufficialmente per concordare il calendario delle celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia: in realtà si parla di tutt’altro. Un colloquio di un’ora abbondante, preceduto da una puntigliosa messa a punto quirinalizia su tutta la vicenda. Nessuna telefonata diretta in queste ore, e niente contatti informali: non c’è bisogno, infatti i due si vedono. E nessuna lettura privilegiata delle intercettazioni da parte di Napolitano: «Si smentisce che il capo dello Stato abbia ricevuto, non competendogli in alcun modo, le carte trasmesse dall’autorità giudiziaria alla Camera dei deputati, che dovrà pronunciarsi sull’autorizzazione a eseguire una specifica perquisizione».
Ma Napolitano non vive sulla Luna. «Naturalmente il presidente della Repubblica - si legge nella nota ufficiale - è ben consapevole del turbamento dell’opinione pubblica per la contestazione da parte della procura di Milamo al presidente del Consiglio di gravi ipotesi di reato». Non è cosa che si possa trascurare, come pure non si può sottacere «sulla divulgazione di numerosi elementi riferiti ai relativi atti di indagine». E qui è evidente come il capo dello Stato non gradisca per niente «il modo disinvolto» con cui sono stati messi in piazza, senza controlli e senza garanzie per gli imputati e per le altre persone coinvolte, atti di un’inchiesta ancora aperta. Il malloppo doveva essere spedito alla giunta parlamentare «in forma riservata» e solo per ottenere un via libera a una perquisizione, non certo perché i dettagli hard finissero sui giornali, come invece è successo.
Da qui il senso della presa di distanza del Colle. Smentendo le telefonate, Napolitano fa sapere che sta seguendo il caso in piena autonomia e non sulla base di contatti con il Cavaliere e che continuerà a restare ben dentro l’ambito delle sue competenze. Quello che è certo è che la nebbia va spazzata subito. «Senza interferire nelle valutazioni e nelle scelte politiche che possono essere compiute dal presidente del Consiglio, dal governo e dalle forze parlamentari, il capo dello Stato auspica che nelle previste sedi giudiziarie si proceda al più presto a una compiuta verifica delle risultanze investigative».
Concetti che ripete allo stesso Berlusconi. Il premier si lamenta, dice di essere completamente innocente e si dichiara vittima di un complotto politico-giudiziario per farlo fuori anche umanamente.

Dice anche di essere tranquillo e di non avere alcuna intenzione di dimettersi. Il capo dello Stato non gli dà né ragione né torto. Gli dà solo un consiglio: il luogo migliore per difendersi è il tribunale. «Grazie, ci penserò», la risposta del Cav.

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