Roma - E il presidente che fa? Che dice? Perché non si fa sentire? Il pressing, forte, sul Colle dura già da qualche giorno. Prima ambienti giornalistici, poi settori dell’opposizione, tutti in una maniera o nell’altra impegnati in queste settimane a mandare in varie forme al Quirinale messaggi più o meno cifrati: l’economia va a scatafascio, la baracca Italia sta franando, le prospettive sono nere, vogliono imbavagliare la stampa, è giunta l’ora che il Cavaliere scenda di sella. Ma a tutti i suoi interlocutori Giorgio Napolitano ha risposto sempre la stessa cosa: il governo ha ancora una maggioranza e io non posso, e non voglio, fare niente per destabilizzarlo perché non ho intenzione di danneggiare il Paese. Quindi, smettetela di tirarmi per la giacca.
Certo, c’è sempre qualcuno che insiste, come Antonio Di Pietro, che vorrebbe che il Colle si desse da fare per bloccare la legge sulle intercettazioni. «Che cosa aspetta il presidente Napolitano a mandare un messaggio alle Camere? Se non ora, quando? La gente è disgustata - sostiene il leader dell’Italia dei Valori durante una manifestazione al Pantheon - e il rischio che si passi dalla protesta alla rivolta sociale è molto concreto». Sull’argomento, com’è ovvio, dal Colle non arriva alcun commento. Sicuramente il provvedimento sul bavaglio o bavaglino non è messo dal Quirinale nell’elenco delle leggi da approvare con urgenza. Ma, da quello che si capisce, non sembra proprio aria di spedire missive incendiarie al Parlamento.
Semmai questa è l’ora della massima unità. È proprio lo stesso Napolitano a spiegarlo, in un paio di messaggi. La «sfida» è dura, dice, e per vincerla servono «non solo rigore e disciplina», ma anche «solidarietà e coesione». Quattro parole che sono le quattro chiavi per cavarsela senza troppi danni. «È importante reagire - scrive il presidente ai costruttori - alle grandi difficoltà che le imprese e i lavoratori devono affrontare formulando proposte e richieste che meritano grande attenzione da parte dell’opinione pubblica, delle forze politiche e soprattutto delle istituzioni».
Occorre quindi il concorso di tutti, si legge in un saluto spedito a un convegno sull’America Latina, «per il necessario rilancio del processo di crescita della nostra economia, per attivare altri settori produttivi e assorbire lavoro, per dotarsi di infrastrutture essenziali in funzione dello sviluppo». E serve «un’attenta e coordinata governance».
C’è molta attesa al Quirinale sui dettagli del decreto sullo sviluppo, un provvedimento che verrà esaminato e sezionato dai mercati e dall’Europa. Dunque, in questa fase è del tutto inutile insistere con le pressioni, il capo dello Stato non si farà condizionare. Del resto un bello scossone al quadro l’ha già dato la settimana scorsa, quando da Napoli ha invitato a cambiare la legge elettorale e ha detto che la Padania non esiste. Un doppio strattone che ha parecchio stressato una situazione da tempo al limite, facendo venire a galla, oltre al malessere della Lega, certi contrasti anche nella maggioranza sul sistema di voto.
Ma in quell’occasione la botta di Napolitano contro la secessione, con il relativo richiamo all’arresto nel ’44 di Finocchiaro Aprile, era stata preceduta da una serie di atti e di dichiarazioni della dirigenza del Carroccio. E le sue frasi sulla necessità di cambiare la legge elettorale erano la conseguenza diretta del milione di firme che ha accompagnato il referendum che chiede l’abrogazione del Porcellum.
Ora, dopo il declassamento del rating deciso da Moody’s, è il momento, appunto, «della disciplina, del rigore, della solidarietà, della coesione». Concetti che molto probabilmente il capo dello Stato snocciolerà oggi durante la sua visita ufficiale in Val d’Aosta.
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