Da Napolitano il primo sì allo scudo giudiziario

Il presidente firma l’autorizzazione: il provvedimento "risponde ai rilievi della Consulta" mossi al lodo Schifani. Decisivo il fatto che l'immunità sia limitata a un solo mandato e non sia reiterabile

Da Napolitano il primo sì 
allo scudo giudiziario

Roma - Firmato Napolitano. Certo, quella che il capo dello Stato ha messo in calce al lodo Alfano è solo una sigla «tecnica», protocollare, quasi «dovuta» e prevista, un tratto di penna provvisorio, in attesa che il disegno di legge sull’immunità per le alte cariche completi il suo percorso parlamentare. Ma se la Cdl non deve fare paragoni con Diaz e il bollettino della vittoria, quella firma, vista la situazione generale, un valore politico comunque ce l’ha.

Significa innanzitutto che Giorgio Napolitano dà il via libera alla discussione sullo scudo giudiziario per i vertici della Repubblica. Significa che «assicurare un sereno svolgimento delle funzioni», come ha scritto la Consulta quattro anni fa, se ben fatta è una cosa di «apprezzabile interesse generale» e che non c’è bisogno di una legge costituzionale. E significa pure che il testo preparato dal governo agli occhi del Colle non presenta evidenti e macroscopici elementi di incostituzionalità. Ma non significa che il ddl, così com’è formulato, piaccia a Napolitano. Anzi, a quanto risulta, il presidente avrebbe manifestato diversi dubbi: la firma finale al provvedimento non è ancora scontata.

Intanto però c’è la firma iniziale. Un esame preventivo, un vaglio sommario che il Quirinale compie su ogni legge che passa per il suo ufficio legislativo prima di andare alle Camere. Quasi un atto dovuto, quindi, che stavolta si concretizza nell’autorizzazione a discutere in Parlamento dello scudo. Punto di partenza nella scelta del capo dello Stato, si legge nel comunicato del Quirinale, «è stata la sentenza con cui la Corte Costituzionale dichiarò l’illegittimità dell’articolo 1 della legge numero 140 del 20 giugno 2003», e cioè il famoso lodo Schifani. E siccome «a un primo esame, quale compete al presidente in questa fase, il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 27 giugno è risultato corrispondere ai rilievi» della Consulta, ecco qui il motivo del visto concesso da Napolitano.

La novità principale, rispetto al testo del 2003, sta nella riduzione da cinque a quattro delle alte cariche da proteggere dalle inchieste: capo dello Stato, premier, presidenti di Camera e Senato. Resta fuori il presidente della Corte costituzionale, che per la giurisprudenza non è il capo dell’organismo ma solo il primus inter pares: il meccanismo doveva perciò o tagliare fuori l’Alta Corte o coinvolgere tutti e quindici i consiglieri.

Poi c’è una importante differenza lessicale: non si parla più di «improcedibilità» ma soltanto di «sospensione del processo». Il blocco fermerà anche l’orologio della prescrizione, allungando di fatto la scadenza dei termini. E le parti civili potranno comunque proseguire la loro azione in sede, appunto, civile.

Infine, lo scudo funzionerà per un solo mandato «non reiterabile» e non trasportabile: per fare un esempio, se tra cinque anni Silvio Berlusconi dovesse essere eletto presidente della Repubblica, non potrebbe servirsene.

Correzioni importanti ma per il Quirinale forse non ancora sufficienti. Tra l’altro la partita del lodo è strettamente connessa al decreto sulla sicurezza e anche alle intercettazioni. Nei giorni scorsi si è molto parlato di un baratto tra il ddl sull’immunità e il blocca-processi. Lo scambio è saltato, ma la mediazione del Colle continua. Napolitano avverte ovviamente l’appesantirsi progressivo del clima generale sulla questione giustizia, soggetta pure a forti pressioni di piazza, come le manifestazioni organizzate da Di Pietro e i girotondi per l’8 luglio.

E l’intenzione del governo di stoppare verbale selvaggio con un decreto non contribuisce alla distensione. Però il capo dello Stato insiste nella sua mission impossible, cercare fino all’ultimo una soluzione accettabile per tutti, «un punto di equilibrio» attraverso «il dialogo e il confronto». Riuscirà a trovarlo?

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