Napolitano pronto a firmare la nuova legge sui clandestini

RomaIl capo dello Stato? «Sta pensando», «valuta», «appare orientato». La prudenza è d’obbligo perché la materia è infiammabile e perché il testo non è ancora arrivato all’ufficio giuridico e costituzionale del Colle. Ma la scelta ormai sembra già fatta: salvo sorprese, Giorgio Napolitano controfirmerà la legge sulla sicurezza.
La decisione del Quirinale si baserebbe su due punti ben definiti. Il primo è l’assenza «evidente» nel ddl di profili di incostituzionalità. Il centrosinistra lo contesta per legittimi motivi politici, l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i profughi lo attacca per altri, sempre legittimi, motivi: ma se nessuno, nemmeno l’opposizione, solleva problemi di incompatibilità con la Carta, non si capisce a questo punto perché dovrebbe farlo il presidente della Repubblica.
Il secondo argomento, per certi versi, è più «politico». Il pacchetto sicurezza è passato l’altra sera in Senato dopo un anno di battaglie parlamentari, dibattiti, polemiche, voti segreti, lavori in commissione, fiduce. In questi dodici mesi - si ragiona sul Colle - il provvedimento è stato analizzato in tutti i suoi aspetti, sviscerato, vivisezionato, fino alla sua faticosa approvazione definitiva. Rimandarlo perciò alla Camera per un’altra lettura non sembra la soluzione più logica. Da qui il probabile sì alla legge, che secondo alcuni osservatori potrebbe (in teoria) anche essere accompagnato da una lettera di osservazioni del presidente. Rilievi di principio (molto improbabili) e rilievi tecnici (possibili) sulle difficoltà di applicazione di alcuni passaggi della legge. L’incontro in mattinata di Napolitano con il guardasigilli Angelino Alfano potrebbe iscriversi proprio in questo scenario.
Dunque, si va verso il disco verde. Che non sarà però immediato. Serviranno infatti diversi giorni, anche una settimana in casi come questo che coinvolge diversi ministeri, prima che si compia l’iter burocratico e il testo venga consegnato al Quirinale. Si scavallerà quindi il G8 dell’Aquila e, come ha chiesto apertamente Napolitano, si eviteranno altre polemiche in concomitanza con il vertice che il presidente ha definito «un’occasione importantissima» per l’Italia.
La scelta di Napolitano riflette un po’ tutti gli ultimi interventi del capo dello Stato, impegnato tenacemente a riaffermare la terziarietà del Colle. Il Quirinale è la massima autorità di garanzia del Paese e quindi bisogna lasciarla assolutamente fuori dal dibattito parlamentare. Il primo giugno, per la festa della Repubblica, il presidente ha invitato i partiti «a una maggiore coesione di fronte al terremoto, alla crisi economica e al G8». Dieci giorni fa, per i cent’anni dell’Anm, ha esortato tutti «ad alimentare la cultura delle istituzioni non confondendo la crisi della politica con la critica delle istituzioni».

E l’altro giorno si è chiamato fuori dalle dispute sulla Consulta dopo il caso della cena di due alti giudici a Palazzo Grazioli: «Non ha nessun fondamento costituzionale la richiesta di un intervento del presidente della Repubblica che interferirebbe nella sfera di insindacabile autonomia della Corte». Giorgio Napolitano, che vuole «tutelare l’equilibrio dei poteri», continua a essere tirato per la giacchetta. E adesso si è stufato.

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