Se cè una persona che conosce bene i mercati finanziari quella è Mario Draghi. Negli anni 90, mentre cambiavano dieci governi, per altrettanti anni lattuale Governatore della Banca dItalia è stato saldamente al suo posto di Direttore Generale del Tesoro, curando tutte le grandi privatizzazioni italiane, dallEni al Credito Italiano: logico quindi che il suo sguardo allenato non faccia fatica a vedere la tempesta che si sta avvicinando, chiaramente registrata dai prezzi delle borse.
Draghi sa benissimo che finora il ciclo economico positivo è stato in grado di nascondere la politica miope e pericolosa del trio Prodi-Visco-Padoa-Schioppa, ma sa altrettanto bene che i «tesoretti» si formano solo se leconomia cresce ma, riguardo alla crescita, il timore che la festa sia finita è evidente. In America è ormai allarme rosso e si stanno preparando cure da cavallo per puntellare un sistema che scricchiola paurosamente.
Di certo il Governatore non si è mai bevuto le panzane sulla ripresa, sullo scatto, sul cambio gomme, sul sorpasso che gli increduli italiani si sono dovuti sorbire da quando il centrosinistra sta a Palazzo Chigi. Anzi, qualche volta ha persino provato a prendere la matita blu e a correggere la propaganda più inverosimile, ma probabilmente poi si è stancato anche lui di fronte allimpressionante fanfara governativa.
Nonostante tutto ieri Draghi ci ha provato unaltra volta, forse lultima: a Bari, davanti alla platea del congresso degli operatori del credito e della finanza ha tenuto una relazione ineccepibile mettendo un paletto chiaro e grosso come una sequoia: gli sgravi servono ma soltanto se finanziati da tagli di spesa, altrimenti rischia di essere peggio, perché la crescita non ci sarà più.
Probabilmente è tardi. Anche se Prodi cadesse domani il danno strutturale rischia di essere stato fatto: quando unelargizione diventa diritto acquisito in Italia diventa sacro e perpetuo anche se ingiusto, ma forse si può ancora tentare di salvare il salvabile, per questo il richiamo del Governatore suona come un ultimo appello, un estremo tentativo di strappare dalle mani di un Prodi sotto assedio il nostro libretto degli assegni, quello con i soldi pubblici che il premier è prontissimo ad incenerire in ulteriori inutili spese clientelari con un unico e nobile scopo in testa: durare, restare aggrappato alla sedia anche se tutto dovesse andare (come sta già avvenendo) a catafascio.
Per un pugno di voti e per il puntiglio testardo ed egoista di pochi senatori bramosi di un vitalizio lItalia purtroppo si è cacciata in un bel ginepraio.
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