«Nel Pdl i valori di una forza popolare»

L’ex ministro ha presentato «La politica nel cuore»: Italia orfana di un grande partito democratico cristiano

da Roma

Conservare una tradizione politica e proiettarla nel futuro è una questione di cuore. Le riflessioni di Paolo Cirino Pomicino, capogruppo della Dc per le Autonomie alla Camera, partono da questo assunto. E le tesi dell’ex ministro del Bilancio si sono riversate nella sua ultima pubblicazione, La politica nel cuore (Cairo Editore, 17 euro).
Il libro inizia con il racconto del trapianto cardiaco affrontato dal parlamentare, operato dall’équipe del professor Viganò, ma anche con la sorprendente descrizione di una sanità campana abbastanza efficace nel curare Pomicino dopo l’infarto del marzo 2006. Poi il passaggio più delicato, dal cuore «fisico» a quello «politico». Un percorso che l’autore ha affrontato martedì scorso, presentando il suo libro, con il presidente del Senato, Franco Marini, e quello della Camera, Fausto Bertinotti.
L’idea di fondo di Cirino Pomicino è che l’Italia sia rimasta uno dei pochi Paesi occidentali senza un grande partito democratico-cristiano («Anche se il progetto del Pdl di Silvio Berlusconi è un importante sforzo in questa direzione», precisa l’autore) e senza un grande partito socialista. Ma il presidente del Senato è apparso quantomeno scettico sulla possibilità di ricostituire la vecchia «balena bianca». La Dc «non si può rifare ma si può continuare a portarne avanti i valori», ha detto Marini aggiungendo che «non è normale per la tradizione italiana che restino due soli partiti» nell’agone politico.
Ma perché la tradizione popolare e quella socialista sono «scolorite» nell’attuale panorama? Secondo Pomicino, una delle cause è anche la cattiva analisi dell’esperienza del ’68 che non ha indotto il Pci a modernizzarsi, bensì ha prodotto solo schegge terroriste.
Ma su questo Bertinotti ha dissentito. «Il declino - ha puntualizzato il candidato premier della Sinistra arcobaleno - è iniziato dalla sconfitta della stagione del ’68 e degli anni ’70, un declino che si è materializzato sul piano economico e sociale con la marcia dei 40mila e la sconfitta sulla scala mobile». Insomma, per Bertinotti, «quali che siano i soggetti politici che ci inventiamo se i gendarmi dell’economia globalizzata restano il fondo monetario internazionale e la Banca mondiale è la stessa democrazia a essere a rischio».
L’analisi di Pomicino, tuttavia, si fonda su basi diverse. L’economia di mercato globale, secondo il politico napoletano, necessita di una maggiore presenza dello Stato come soggetto attivo. La proprietà pubblica non è un problema se il parametro di riferimento è l’efficienza. Non la pensa così Bertinotti secondo il quale lo Stato stesso deve rappresentare un’alternativa al mercato.


Il senso del dibattito e del libro, in fondo, è proprio questo: cosa salvare e cosa lasciarsi alle spalle. Un’Italia dove gli interessi particolari confliggono tra loro non ha ancora affrontato questa decisione fondamentale. Forse.

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