Nel risiko del Senato Rutelli promette il Colle ad Andreotti

Il leader della Margherita lavora per «blindare» Marini a Palazzo Madama. Centrosinistra in ansia

Gianni Pennacchi

da Roma

Fosse dipeso da Francesco Rutelli, mai si sarebbe saputo che ieri, di buon mattino, è andato a far visita a Giulio Andreotti, nell’ufficio di San Lorenzo in Lucina che il senatore a vita anima d’abitudine alle 6, che non son le 18 come equivocò un tempo l’ex ministro Claudio Martelli. Oggetto del colloquio, chiesto dal leader della Margherita, la corsa per la presidenza del Senato che vede in affanno Franco Marini, appunto per la concorrenza di Andreotti. Tale e sofferta ascesa a Canossa, rivela quanto l’Unione sia tutt’altro che tranquilla e sicura di poter incoronare il proprio candidato alla seconda carica dello Stato. Per di più, se il lupo marsicano non dovesse farcela, Rutelli si troverebbe nel suo partito peggio di quanto soffochi Piero Fassino nel suo dopo aver provocato a Massimo D’Alema quella pessima figura alla Camera. Vedesse dunque la vecchia volpe se gli fosse possibile rinunciare all’investitura offertagli dal centrodestra: Silvio Berlusconi non è certo suo amico, mentre un antico legame, veracemente democristiano, lo lega a Marini. Su mandato concordato con Fassino e Romano Prodi, Rutelli gli ha offerto, quale prezzo del ritiro, la presidenza della commissione Esteri. E poiché Andreotti non s’illuminava più di tanto, par che l’altro gli abbia ventilato quale ultima e appetitosa carta la possibilità di una non belligeranza, insomma un appoggio almeno della Margherita, se il senatore a vita si trovasse a correre per il Quirinale.
Il risultato è che a sera Andreotti rilanciava la conferma sul Colle di Carlo Azeglio Ciampi. E i suoi facevano sapere che per il Senato insiste, con fondate speranze di farcela, ribadendo tale posizione anche dopo una lettera di Francesco Cossiga che invita il sette volte presidente del Consiglio a ritirarsi, considerando «chiuso qualsiasi utile spazio», ma con la consolante promessa che voterà per lui se decidesse invece di andare avanti. Un voto in più per Andreotti, dunque. Che tra i colleghi del laticlavio vitalizio è poco amato soltanto dal pio Oscar. Ma sotto le pubbliche dichiarazioni della Svp, che faranno i senatori sudtirolesi, in debito storico col divo Giulio? E quelli dell’Udeur, con Clemente Mastella che già minaccia l’appoggio esterno al futuribile governo di Prodi? In fin dei conti, a lanciare la candidatura super partes di un senatore a vita, semmai la rosa da presentare al centrodestra, era stato proprio il leader di Ceppaloni.
Tant’è che il panico serpeggia tra le file dell’Unione, se ieri sera in tv Willer Bordon se ne è uscito ipotizzando che «si potrebbe anche andare allo scioglimento di una sola delle due Camere» se Marini venisse battuto da Andreotti. Una «ipotesi scolastica» che non stempera l’implicita minaccia ai piccoli alleati riottosi e ai molti notabili della Prima Repubblica che ravvivano il centrosinistra. C’era Pier Ferdinando Casini nella stessa trasmissione, e ha sottolineato il «manifesto segno di debolezza e di paura», per poi consigliare: «Se passa Andreotti, Prodi si vada a complimentare con lui al più presto, e forse in questo modo salva anche il suo governo».
Entro sabato sera si vedrà il gran finale. E se poi Marini finisse sconfitto, non è che Prodi sia pronto a svenarsi. Non soltanto perché considera i suoi «cinque anni di buon governo» acquisiti e irrinunciabili, ma anche per questione caratteriale: veder puniti D’Alema e Marini, coloro che ritiene gli artefici del «tradimento» subìto nel ’98, sarebbe per il prof gioia perfida e sublime. Il problema, alla vigilia della garnde disfida, è che il centrodestra gioca compatto su Andreotti. Anche la Lega, che all’inizio voterà il proprio candidato di bandiera, Roberto Calderoli, per poi allinearsi agli alleati. Anche Marco Follini, che dissipando ogni sospetto di «consociativismo», ieri sera ha rinnovato la dichiarazione pubblica di fede nel senatore a vita. È il centrosinistra, che rischia di perdere pezzi e quel magro margine di vantaggio contato sui senatori eletti, tre voti in tutto. Come dice Gianfranco Fini, sarà questa «la cartina di tornasole per vedere se la maggioranza ha i numeri».
A domani dunque, la Camera apre alle 10 e il Senato mezz’ora dopo. Due scrutini subito, per ambedue. Ma il regolamento della Camera è più duro, inizia col chiedere una maggioranza dei due terzi, dunque l’elezione di Fausto Bertinotti, che pure è scontata, si avrà tra qualche giorno.

Al Senato la corsa è più rapida, dopo le due votazioni di domani, che andranno a vuoto poiché richiedono la maggioranza assoluta dei componenti - 162 voti, completandosi tutte le opzioni stasera -, se ne avrà una terza sabato a maggioranza assoluta dei presenti, contando anche le schede bianche. Se andrà a vuoto pure questa, «nello stesso giorno» dice il regolamento, si procede al ballottaggio tra i primi due, e in caso di pareggio è eletto «il più anziano di età». Andreotti 87, Marini 73.

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