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«Nel segno di Paz» al Libero: storia di un ribelle per scelta

Un caleidoscopio di immagini col protagonista in forma di mosca

Matteo Failla

Andrea Pazienza non è stato solo tra i più grandi ed influenti autori nell’ambito del fumetto italiano, è stato anche pittore, illustratore, scrittore e fotografo, un artista che, frequentando quel mondo delle arti figurative spesso ritenuto minore, a torto, era riuscito ad affascinare anche il mondo dell’arte «tradizionale». Ribelle quanto geniale, scomparve nell’88, a soli trentadue anni, forse ucciso da una overdose, lasciando tuttavia un segno indelebile nella storia del fumetto.
Per ricordarlo è in scena al Teatro Libero lo spettacolo di Antonio Tancredi Nel segno di Paz, che porta sul palco alcuni dei personaggi di Pazienza lasciando al pubblico la sensazione di sfogliare un album nel quale le storie non hanno confini netti.
Tancredi, domanda inevitabile: qual è la trama?
«È uno spettacolo ispirato alle opere di Andrea Pazienza che nasce nel 2000, dopo un incontro con alcuni amici attori che a loro volta erano appassionati del fumettista. Portiamo in scena parte dei suoi personaggi, tra i quali non compaiono però Pentothal e Pompeo perché hanno una loro storia ben definita, e la scelta sarebbe dovuta quindi ricadere su uno spettacolo che riportasse fedelmente ciò che Pazienza aveva scritto e disegnato. Abbiamo invece preferito dare l’impressione di passare da una storia all’altra, proprio come succede leggendo i fumetti di Pazienza, lasciando che ciascuna scena si colleghi all’altra esclusivamente grazie ad un comune denominatore. Le storie che portiamo sul palco non hanno confini netti, si ha l’impressione di cadere in un caleidoscopio o in un sogno psichedelico fatto di tanti colori e personaggi che arrivano, dicono qualcosa, e poi se ne vanno. In questo modo permettiamo a chi non conosce Pazienza di apprezzarne la versatilità».
E la scena è completamente nuda.
«Assolutamente, come se fosse un foglio bianco. Non potevamo creare scenografie che fossero all’altezza dei disegni di Pazienza, quindi abbiamo cercato di lavorare su ciò che conoscevamo bene: il corpo dell’attore. Compaiono solo personaggi che si travestono, in maniera quasi virtuosistica».
Paz, ad esempio, compare nello spettacolo sotto forma di mosca.
«Esatto, lui stesso si disegnava spesso come mosca e a volte interveniva nei fumetti. È una mosca irriverente, alter ego dello stesso autore, che interloquisce con il pubblico, presentando e commentando ciò che avviene sul palco».
Come avete fatto a trasformare i fumetti in sceneggiatura teatrale?
«La difficoltà maggiore è stata collegare le storie tra di loro. Tra una scena e l’altra esistono degli stacchi, sia fisici che emozionali.

Abbiamo utilizzato il corpo, l’espressione ed il movimento per “disegnare” quelle emozioni, e così siamo riusciti a rendere fisicamente il mondo di Pazienza nel suo divenire. Lui non era solo un fumettista, era un letterato; per questo è stato semplice prendere spunto dalle sue storie: ha messo in pratica nel fumetto il “teatro della crudeltà”».

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