Ma è proprio necessario usare mezzi armi e bombe in Libia? Si, purtroppo è necessario perché l’economia non ci lascia scelta.
Le riunioni dei pacifisti verrebbero meglio d’inverno, con il riscaldamento spento e magari il bambino che piange per il freddo nell’altra stanza. Il fatto è che in Italia sono tutti bravissimi sul piano degli ideali ma a pochissimi piace sporcarsi le mani con matita e quaderno a quadretti per fare due somme, anzi, quando lo si fa si passa per cinici e senza cuore. Correremo ancora una volta il rischio e partiamo da un numero tondo: quaranta, che per la smorfia napoletana può significare la pelle, la sabbia o la vendetta ma che per le nostre tasche significa molto semplicemente i miliardi di euro dei nostri interscambi commerciali annui con i paesi dell’area del Maghreb. Una cifra enorme, quasi il 3% del prodotto interno lordo di cui metà è rappresentata dalla Libia, seguita dall’Algeria con 11 miliardi e, a seguire, Tunisia e Marocco. Giusto per capire, stiamo parlando di uno scontrino da supermercato di oltre 4,5 milioni di euro ogni ora per tutti i giorni dell’anno, notte e festivi compresi.
È evidente che per quanto signori ci possiamo considerare, l’idea di non interessarci direttamente della situazione nordafricana sarebbe stata impensabile. Il nostro interventismo forzato diventa poi ancora più evidente se consideriamo che cosa si nasconde sotto queste cifre iperboliche, dato che se con i libici ci fossimo scambiati solo tappeti e pomodori magari si poteva anche soprassedere, purtroppo però la verità è che dalla Libia arriva energia (e con quella non si scherza), sotto forma di circa un terzo del nostro fabbisogno di petrolio e gas, una pompa di benzina sempre in funzione che sul display dell’importo fa segnare cifre vicine ai 15 miliardi di euro l’anno, con il benzinaio che ha la familiare divisa dell’Eni, la principale società estrattiva straniera della Libia, impegnata da anni in virtù di accordi pluridecennali a trivellare 300mila barili di greggio al giorno e a spedirci 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno.
Le anime belle di solito quando sentono questi dati fanno spallucce, tanto se non c’è la Libia basta comprarlo da qualche altro esportatore, che problema c’è? Il problema c’è eccome invece, dato che il gas non arriva avvolto in carta arcobaleno, ma ci vogliono gasdotti la cui costruzione necessita di lunghi anni. Di queste condotte di approvvigionamento l’Italia ne ha quattro principali che consentono ai nostri fornelli di scaldarci l’acqua per la pasta e alle nostre stufe di farci stare al calduccio, però oltre alla Libia uno arriva dall’Algeria (che non è esattamente un paese tranquillo) mentre l’altro arriva da Russia e Ucraina (che hanno la pessima abitudine di chiudere il rubinetto ogni tanto per le loro beghe), solo uno è europeo ed è collegato con la Norvegia, ma di certo da solo non basterebbe nemmeno per cominciare a scaldarci.
Alternative? I rigassificatori consentirebbero più flessibilità, peccato però che non appena se ne progetta uno partano catene umane, ricorsi (sempre vinti) al Tar ed altre sciocchezze in grado di bloccare i lavori sine die. Sarebbe bello poter importare il gas dai paesi che ci piacciono, tipo dalla Svizzera, magari insieme con il cioccolato, però non ce l’hanno, e allora che si fa? La Libia no, l’Algeria no, i rigassificatori no, il nucleare per carità, il solare di inverno non funziona e ovviamente guai a chi tocca un albero per mettere almeno un ceppo nel camino. Con i no non si va da nessuna parte, anzi, si rischia di dover decidere al freddo un bel piano di emergenza. Tanto vale muoversi prima. Le importazioni poi sono solo una faccia della medaglia: non vanno infatti dimenticate le nostre imprese private attive nell’area, dai camion dell’Iveco alle costruzioni dell’Impregilo, ai lavori per 5 miliardi per la costruzione di 1.700 km di autostrada litoranea coordinati dall’Anas, fino alle centinaia di imprese medio piccole (quasi settecento solo in Tunisia) che hanno fino ad oggi combattuto per far salire quei dati dell’export di cui tanto andiamo fieri.
Purtroppo quindi, anche se non ci piace, bisognava intervenire anche per difendere questi nostri interessi vitali: per i motivi sopra detti la neutralità non è un’opzione, la scelta sarebbe stata solo se partecipare alle
operazioni insieme con la Nato o difendere Gheddafi contro gli Usa e l’Europa, e si capisce bene anche solo scrivendo per gioco questa seconda opzione che la scelta in realtà non c’era.posta@claudioborghi.com
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