«Nella mia famiglia non tutti erano “anti”»

Pubblichiamo un passo della lunga corrispondenza, quasi un’autobiografia in forma di lettera, che Emilio Segrè inviava, dall’Università di Berkeley, a Renzo De Felice, l’8 gennaio 1983. Il documento proviene dal Fondo De Felice, conservato nell’Archivio Centrale dello Stato.

«A casa, mio padre, industriale, era per l’ordine e piuttosto benevolo al fascismo. \ Mio zio Claudio, geologo distinto (per quanto ferroviere e non professore, era Linceo) era fascista convinto (morì nel 1927). Mio zio Gino, professore di Diritto Romano di fama internazionale (anche lui Linceo) era invece antifascista e persuaso fin dal principio che il fascismo sarebbe finito male e quel che era peggio che avrebbe rovinato l’Italia. Io sentivo le loro discussioni, ma nessuno mi convinceva a fondo. \ Non ricordo nulla delle mie idee politiche fino al 1924, dopo il delitto Matteotti. \ D’altra parte, non potevo rispettare gli Aventinisti, che mi parevano vigliacchi. Devo aggiungere che gente come Croce mi erano antipatici, perché non capivano nulla di scienza, che per me era invece importante. Avevo anche l’impressione che fossero dei gran parolai a vuoto. \ Andai in Germania, nel 1929, e ci convincemmo che quel paese era su una brutta strada, perché i bambini cantavano con grande entusiasmo Deutschland, Deutschland über Alles, e si ebbe l’impressione di una popolazione con un buon numero di fanatici.

\ Tornai dalla Germania sostanzialmente antifascista, ma non militante e tale son rimasto. Naturalmente il vedere i Nazi del 1931-32 avrebbe aperto gli occhi anche ai ciechi; bisogna ricordare tuttavia che Mussolini allora non era tanto amico di Hitler...

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