Andrea Tornielli
da Roma
«Quando lepiscopato prende posizione, leggendo certe reazioni sembra sempre che abbia compiuto un delitto di lesa maestà». Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro, ha studiato a lungo la storia dei rapporti tra Chiesa e Stato a partire dallepoca risorgimentale. Il prelato, che ha appena istituito una fondazione internazionale intitolata a Giovanni Paolo II e dedicata allo studio della dottrina sociale, si dice stupito per alcuni commenti che hanno bollato come «ingerenza» le parole pronunciate da Ruini sui Pacs.
Perché la sorprendono le accuse di «ingerenza»?
«Speravo che fosse finito il tentativo, che ha attraversato gli ultimi due secoli, di comprimere la Chiesa ai margini della società, eliminando o riducendo al minimo la sua capacità di intervento culturale, sociale e politico. Lideale era che accettasse di essere una cappellania del potere di qualsiasi colore esso fosse, mentre lo Stato si attribuiva il diritto di essere lunico soggetto etico della storia, secondo lidea di Hegel o di Gentile. Forse questa epoca per alcuni non è ancora finita...».
Non crede che la Chiesa rischi di intervenire troppo sui temi della politica?
«Il Concilio, con la Gaudium et spes, e il pontificato di Giovanni Paolo II, hanno rilanciato la missione: i cristiani sono un popolo con unidentità e unoriginalità culturale. E hanno il compito di essere presenti nella società, per edificare - come ha detto il cardinale Scola - la vita buona nella società».
Dunque quella della Cei non è «ingerenza»...
«Alcuni chiamano ingerenza la missione perché scombina una certa cultura politicamente corretta. Con lintervento del cardinale Ruini, basato su unantropologia fondata e positiva, la Chiesa non vuole imporre la sua visione, ma renderla presente nella società. Poi si discute e si decide nelle sedi opportune e con i metodi democratici».
Eppure cè chi dice: la Chiesa parli ai fedeli, spetta allo Stato occuparsi delle leggi.
«Se la Chiesa dice qualcosa di diverso dallidea di una certa cultura dominante, sembra che compia un delitto di lesa maestà, accusa in vigore nelle corti assolutiste del Settecento e negli Stati totalitari. Pare che ci debba essere una sola ideologia della società, quella di chi ci critica».
Non crede che le parole di Ruini possano apparire come un «intervento a gamba tesa»?
«È la missione che implica lentrare nel merito di questi problemi».
La teologia non insegna che ci sono le leggi imperfette e che lo Stato non può imporre letica?
«Le leggi imperfette esistono, ma i cattolici hanno il dovere di dire che sono tali... ».
Non possono però imporre la loro visione a chi la pensa diversamente...
«Cè un abisso tra il dire e il pretendere di imporre. Sbaglia chi sostiene che la Chiesa, per il solo fatto di pronunciarsi su un determinato argomento come ha fatto il cardinale Ruini, voglia imporre a tutti la sua visione. Mi sembra di leggere in questo atteggiamento la rabbia di chi si sente attaccato nel proprio presunto monopolio ideologico sulla società».
La Chiesa, con tutti questi «no», non finisce per risultare antipatica?
«Alla Chiesa interessa servire la verità, non essere simpatica o antipatica. Dicendo no alla legalizzazione delle coppie gay, la Chiesa dice sì a quella trasformazione del rapporto uomo-donna che don Giussani ha definito il più grande miracolo che possa nascere sulla terra».
I gay però si sentono discriminati...
«Proclamare la verità non significa poi non comprendere chi decide di vivere la propria vita secondo criteri diversi. Resta sempre validissima la distinzione che il beato Giovanni XXIII faceva tra errore ed errante. Il primo va condannato, il secondo va compreso».