Cultura e Spettacoli

«Nessuno traduce più Dante o Byron: ora nelle edicole c’è il Mein Kampf»

Valentina Colombo (1964) è una delle più famose arabiste italiane: è docente di Geopolitica del mondo islamico presso l’Università Europea di Roma e Senior Fellow presso la European Foundation for Democracy (Bruxelles). Il grande pubblico però la conosce soprattutto per il suo Islam. Istruzioni per l’uso (Mondadori, 2009) e come traduttrice del premio Nobel per la letteratura Nagib Mahfuz.
Abbiamo chiesto il suo parere sull’utilizzo della cultura come strumento di potere nel mondo arabo.
Dottoressa Colombo, secondo i dati dell’Onu sono pochissimi i libri occidentali tradotti in lingua araba. Come mai?
«Diciamo che in passato, dai primi dell’Ottocento sino a circa gli anni Sessanta del Novecento le traduzioni di libri occidentali in lingua araba erano numerose, ora invece è cambiato tutto».
Perché?
«L’avanzata dell’estremismo ha fatto in modo che si traducesse sempre di meno. In pratica gli unici Paesi di lingua islamica a tradurre testi sono l’Egitto e il Libano. Ma anche lì in pratica si è fermato tutto. È noto il caso del Codice da Vinci di Dan Brown, la cui traduzione è stata bloccata».
Quali sono i libri europei che vengono ancora tradotti?
«Se lei parla con qualunque intellettuale di un Paese islamico le dirà che negli anni Cinquanta lui poteva leggere Dante in arabo. Adesso Dante non si trova più. Però se lei gira per Il Cairo trova Mein Kampf di Adolf Hitler esposto nelle edicole vicino ai giornali e con copertine fatte apposta per attirare l’attenzione dei lettori».
E la questione della forte differenza tra l’arabo classico e la lingua parlata?
«Ha ragione Safouan, è uno dei problemi più gravi. Tutto sino a poco tempo fa veniva scritto in arabo standard che è molto diverso da quello che parla la gente. Così non solo le traduzioni di testi occidentali sono sempre meno, ma una gran parte della popolazione (l’analfabetismo in alcuni Paesi arabi supera il 40 per cento) non ha accesso ad alcun tipo di informazione. Tra i pochi segni di miglioramento c’è che alcuni giovani scrittori locali stanno iniziando a usare una lingua simile al parlato nei loro libri».
I gruppi estremisti che linguaggio usano?
«Sono tra i più gelosi difensori della purezza dell’arabo standard. Per l’oro l’arabo è ancora più sacro. È quello che usano nei loro proclami e nelle fatwa. Quando però si rivolgono alla gente passano al linguaggio comune, comprensibile. Questo doppio livello è assolutamente a loro vantaggio».
In questo senso quali sono le colpe dei governi?
«Non hanno mai investito nell’istruzione, o almeno non l’hanno fatto in modo adeguato. In un Paese come l’Egitto, che pure è uno dei più aperti all’Occidente, ci sono classi nella scuola primaria dove ci sono sessanta bambini. Così le classi più umili si rivolgono alle scuole gestite dalle associazioni di estremismo religioso.

E si può facilmente immaginare che tipo di educazione venga fornita in quell’ambito».

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