Politica

Ma niente scherzi sui costi dell'operazione

La Lega è in festa dopo il sì definitivo del Senato al federalismo fiscale. Soddisfazione anche nel Popolo della libertà sia per il voto favorevole sia per l’astensione del Partito democratico. Da questo esito della votazione il vicepresidente del Senato Vannino Chiti, veltroniano, ha tratto motivo per inneggiare a «una bella pagina di vita parlamentare». Evviva, evviva. Ma la gente comune, quella per intenderci che paga le tasse e assiste agli sperperi, ha motivo d’associarsi all’esultanza dei governanti e dei legislatori? Questa è la domanda fondamentale. Articolabile in un’altra domanda. Il federalismo porterà semplificazioni e risparmi oppure - come sempre è accaduto finora quando s’è avuto qualche conato - complicazioni e aggravi di spesa? Finché viene enunciato come obiettivo il federalismo ha pochi nemici. I guai vengono quanto si tenta di dargli attuazione concreta. Nel 1970 alcune competenze statali passarono alle regioni a statuto ordinario, ma nessun ministero snellì se non per brevissimo tempo l’organico, successivamente accresciuto. Sono state ricavate province nuove scorporandole dalle vecchie, le vecchie hanno mantenuto il loro personale e le nuove ne hanno acquisito. I precedenti sono scoraggianti. Invitato a spiegare quanto costerà il federalismo fiscale Tremonti ha risposto che non può farlo perché non lo si sa. Non esistono dati omogenei e condivisi e «avere dei dati ma non omogenei e non condivisi è come non avere dei dati». In un bell’articolo sulla Stampa di ieri Luca Ricolfi trovava stupefacente che «dopo dieci anni di prove di federalismo fiscale né il centrodestra né il centrosinistra si siano ancora preoccupati di predisporre la base di dati che occorre». Lo trovo stupefacente anch’io, pur non volendo incorrere nella moda del no pregiudiziale a ogni innovazione. Lasciamo la porta aperta alla fiducia, ma a una condizione. Che i dati arrivino presto, e che comunque non si dia via libera agli attesi «decreti attuativi» prima che il contribuente sappia quanto si spenderà, se si risparmierà, quanto si risparmierà (o quanto si spenderà in più). La Lega obbedisce a una pulsione politica della quale possiamo capire la logica e la necessità. Per Bossi il federalismo fiscale è più che una riforma utile - sempre che risulti tale - è «la Riforma». Questa fede in un dogma infallibile esige, nella dialettica delle istituzioni, una verifica di fatti e di dati.

È ciò che i cittadini si aspettano, lasciando i brindisi alle camicie verdi.

Commenti