Il no di Berlusconi a un governo tecnico: "Subito alle urne"

In mattinata il colloquio riservato con Napolitano. Poi la stretta di mano con Fini e una serie di faccia a faccia per scongiurare l’ipotesi di un esecutivo di transizione "nel quale rischiamo di restare imbrigliati"

Il no di Berlusconi a un governo tecnico: "Subito alle urne"

Roma - Nessun cedimento su ipotesi di esecutivi istituzionali e ritorno alle urne il più presto possibile, nel caso con il governo Prodi in carica fino al voto per la normale amministrazione. Silvio Berlusconi resta sulle sue posizioni e, probabilmente, anche di questo ragiona a metà mattina quando si chiude per alcuni minuti con Giorgio Napolitano nel saloncino del presidente a pochi metri dal Transatlantico. Un conciliabolo a quattro insieme ai presidenti di Camera e Senato nel quale il Cavaliere si rivolge quasi esclusivamente al capo dello Stato. Il primo di una lunga serie di faccia a faccia per l’ex premier, deciso a fare il possibile per scongiurare l’ipotesi di un governo tecnico nel quale, spiega in privato, «rischiamo di rimanere imbrigliati». Punto su cui concorda anche Gianfranco Fini che in aula va a stringergli la mano quasi a formalizzare un rinnovato clima d’intesa. «Vedi Silvio, quando non si discute di legge elettorale - dice il leader di An rivolto all’ex premier - il centrodestra ritrova la sua unità. L’ho detto anche a Casini». Poi i due si isolano dal resto dei deputati azzurri e parlano fitto per una decina di minuti. Una chiacchierata, racconta un ex ministro di An, nella quale «si è anche affrontata l’ipotesi di un governo Amato o Marini», anche se poi «è prevalso il timore che una soluzione simile porti chissà dove». Così, sia Fini che Berlusconi concordano sul fatto che l’unica via sia quella delle urne, soluzione caldeggiata anche da Umberto Bossi.

In aula, nel viavai di deputati di Forza Italia e non che fanno capannello intorno al Cavaliere dopo il voto di fiducia, l’ex premier parla anche delle tante «pressioni delle ultime ore»: quelle su di lui, perché dia il via libera a un governo di larghe intese, e quelle sui senatori, che da due giorni a questa parte sono bersagliati dalle telefonate di Palazzo Chigi. Il primo della lista è l’udeur Nuccio Cusumano, ma poi - racconta un deputato di Forza Italia - «c’è pure il senatore italoargentino Luigi Pallaro che la batteria di Palazzo Chigi cerca inutilmente da questa mattina all’alba». Inutilmente perché el senador avrebbe staccato tutti i suoi telefoni e sarebbe irrintracciabile. E all’elenco va aggiunto pure Roberto Calderoli, che martedì pomeriggio è stato chiamato direttamente da Romano Prodi che ha sondato la disponibilità della Lega a «passare in blocco con lui». In privato, sul punto Berlusconi è categorico: «Siamo allo shopping selvaggio... So che Prodi ha messo gli occhi anche su un paio dei nostri, ma non ce la farà. Le proposte che fanno sono allettanti soprattutto per chi è a fine carriera, ma non riusciranno».

La giornata del Cavaliere, però, è segnata anche da un botta e risposta con Clemente Mastella. Che, dice l’ex premier a ora di pranzo, «da quel che mi risulta stasera annuncerà la sua confluenza nel centrodestra». Parole seguite da una secca smentita del leader dell’Udeur: «Nessuna confluenza da nessuna parte. Le nostre scelte sono e saranno sempre di centro». Con il presidente dei deputati del Campanile Mauro Fabris che ai parlamentari di Forza Italia non nasconde il suo stupore. «Solo un’incomprensione», spiegherà più tardi Berlusconi agli alleati.

La via maestra, dunque, resta quella del voto. «Subordinate - spiega l’azzurro Sestino Giacomoni - non ce ne sono». Anche se in verità il Cavaliere non è contrario a un governo tecnico che ritocchi la legge elettorale (trasformando in nazionale il premio di maggioranza regionale del Senato) e porti il Paese alle urne a giugno. Ma a una sola condizione: che a guidarlo sia lo stesso Prodi. Un modo per arrivare alle urne senza alcuna discontinuità rispetto a un esecutivo che può vantare un non certo invidiabile primato: il gradimento più basso della storia della Repubblica. E in questo senso il puntiglio e l’ostinazione del Professore - deciso a non immolarsi all’altare del Pd ma piuttosto a portarsi tutti nel baratro - rischiano di essere i migliori alleati del Cavaliere. Anche Pier Ferdinando Casini, da sempre sostenitore delle larghe intese, è infatti convinto che «se Prodi vuole un secondo tempo di questa legislatura deve dimettersi subito» e «dirottare l’autista da Palazzo Madama al Colle» per evitare «il rito inutile» della fiducia al Senato. Ma anche in questo caso, forte del voto della Camera, Prodi potrebbe ottenere un reincarico, chiudere la strada a governi istituzionali e, nel caso di fallimento, aprire le porte alle elezioni. Che lo stesso Casini non fa mistero di vedere dietro l’angolo.

E alle quali il Pdl - dice Berlusconi ad alcuni deputati - si presenta forte dei sondaggi che «oggi

ci danno al 37%», due punti in meno di prima di Natale. Un calo, però, che non preoccupa affatto Berlusconi che non lo attribuisce «al dialogo con il Pd» ma al fatto che «nell’ultimo mese» ha «girato poco per l’Italia».

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