«Noi armeni accolti a braccia aperte»

«Sono qui dal 1964 e da allora non me ne sono più andato. Di questa città apprezzo che si punti subito al sodo»

«Noi armeni   accolti a braccia aperte»

La storia di Pietro Kuciukian, medico chirurgo, parte da molto lontano. Nato ad Arco (Trento), è figlio di un’italiana e di un armeno, venuto in Italia da Istanbul nel 1915, durante il genocidio degli armeni perpetrato dal governo dei Giovani Turchi. A Milano è approdato per caso: voleva diventare odontotecnico, cercava una capitale europea per realizzare il suo sogno e la scelta cadde sul capoluogo lombardo, dove si laureò e aprì uno studio dentistico: «Sono qui dal 1964 e da allora non me ne sono più andato - racconta -. Di Milano apprezzo che si punti subito al sodo, senza troppi preamboli». Ci riceve nel suo studio, dove ogni angolo parla di lui e del suo lavoro: alla parete una vignetta che lo ritrae mentre aggiusta una moto (scopriremo in seguito che ha progettato una Swm che ha vinto il campionato del mondo nel 1981 con un pilota francese) e una serie di manifesti che rievocano l’Armenia. Questa terra è infatti uno degli interessi maggiori di questo dottore eclettico che, dopo il terremoto del 1988, si è recato nelle zone sinistrate per aiutare i suoi connazionali e dove ha lavorato all’installazione di un ambulatorio medico a Spitak e di due scuole a Stepanavan; un signore instancabile che ha trovato il tempo di tradurre e scrivere libri eccellenti (spesso sulla questione armena) e collaborare con diversi giornali. Oggi si occupa, tra l’altro, delle relazioni Italia-Armenia per conto dell’Ambasciata della Repubblica di Armenia a Roma.
Kuciukian ci racconta di come le relazioni tra l’Italia e gli armeni risalgano ai tempi di Nerone e di come la stessa Milano porti i segni di quest’intesa: dal primo notabile armeno che si ricordi, Xoga Safar, che su mandato dello scià di Persia venne a Milano nei primi anni del 1600 per rifornirsi di armi a un’iscrizione del 280 d.C. sulle colonne di San Lorenzo. Ma anche il khachkar, in Piazza Sant’Ambrogio, la croce di pietra intagliata nel tufo a memoria del genocidio e una lapide sul Monte Stella che ricorda Dzidzernagapert, la «Collina delle rondini» di Yerevan, e lo stesso Pietro Kuciukian, co-fondatore insieme a Gabriele Nissim del Comitato della Foresta dei Giusti. «Gli armeni di Milano si sono battuti per anni per il riconoscimento del genocidio - spiega -, sono riusciti a farlo riconoscere nel 1977 dal Comune di Milano, grazie all’interessamento dell’allora presidente del Consiglio comunale, De Carolis». (Nel 2000 il genocidio è stato riconosciuto anche dall’Italia grazie soprattutto all’onorevole Giancarlo Pagliarini, ndr).
Ed è profonda la gratitudine di Kuciukian nei confronti di una Milano che da sempre ha saputo accogliere a braccia aperte questa comunità dinamica e benestante: armeni «milanesizzati» (800 residenti, hinterland incluso, su un totale di circa 2.000 sparsi sul territorio italiano), che amano incontrasi in piazza Velasca 4, sede della Casa Armena; oppure nella Chiesa Apostolica Armena in via Jommelli, di fronte al noto negozio-laboratorio fondato da Stefano Serapian.

«Molti si sono assimilati agli italiani, a volte hanno cambiato nome, ma quasi sempre hanno mantenuto il legame con le loro origini», conclude. Un’integrazione talmente riuscita che, secondo recenti studi, almeno 50mila italiani possono vantarsi di discendere o di avere qualche legame con il nobile popolo dell’Ararat.

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