Noi superstiti sul piazzale della Guardia

L’appello del reduce Uca al prefetto e al cardinale: «Ricordate i genovesi che si sono sacrificati a Creta»

È cominciato come uno dei tanti servizi giornalistici, che rientrano nella routine di chi scrive ed è divenuta una autentica amicizia. Un dialogo serio e profondo, che mi ricorda non poco quelli che, tanti anni addietro, intrattenevo con mio padre. Anche mio padre, tenente degli alpini, a lungo prigioniero in Africa Orientale, avrebbe oggi la stessa età di Alessandro Uca. Ottantacinque anni e non ottantasette, come mi rimprovera spesso il mio interlocutore. Dal momento che - ed occorre proclamarlo una volta per tutte - lui, Alessandro Uca è del '20 e non certo del '18, come ho erroneamente scritto in una intervista precedente.
Ebbene, Alessandro Uca oggi è malato. Risente dei postumi d'un grave infarto, che lo ha colpito nell'agosto del 2003. È stato a lungo ricoverato presso il reparto rianimazione dell'ospedale di Sanpierdarena, poi, poco per volta, è riemerso dalla valle buia e tenebrosa in cui era precipitato.
Ma la memoria - come lui spesso e volentieri ripete - non è più la stessa. I ricordi ritornano ancora alla mente, ma come lacerati, a brandelli, sparsi lungo la strada che lo ha condotto da Genova a Creta, in quella Baia di Suda, dove sono morti annegati migliaia di nostri connazionali, subito dopo l'8 settembre 1943, e da lì sino ad Algeri, per fare ancora una volta ritorno in Italia.
Ma in Italia, sui fatti dell'Egeo a lungo si è taciuto. Nell'immediato dopoguerra e poi anche in periodi più recenti, nonostante il crescente interesse per le vicende del secondo conflitto mondiale, nonostante il montante revisionismo storico, che è andato a frugare là dove, sino a pochi anni or sono era inimmaginabile frugare, sulle vicende di Creta si è mantenuto il quasi assoluto silenzio.
Su Cefalonia molti libri sono stati scritti, ma sul Petrella e il Sinfra, i due vapori carichi di italiani, che furono silurati e affondati dall'aviazione britannica, le acque si sono richiuse inesorabilmente. Eppure, qualcuno di quei giovani, salvatosi da morte certa per una misterioso disegno della provvidenza, compare ancora in quella antica istantanea, scattata nel 1945 sul piazzale della Guardia. Al centro, Alessandro Uca, con il suo volto di ragazzo, già segnato da una serie interminabile di vicissitudini. Intorno a lui, alcuni esponenti di una generazione duramente provata, ma che - come scriveva in un suo celebre libro Giorgio Pisanò - non si è mai arresa.
«Mi ricordo - mi confida Alessandro Uca - di quanto mi raccontava uno dei pochi superstiti, purtroppo anche lui recentemente scomparso. Dopo che i siluri avevano squarciato la chiglia del vapore, pochi tra i prigionieri erano riusciti a uscire dalle stive dove erano tenuti sotto il tiro dei mitragliatori tedeschi. Tra questi c'era anche quel mio amico. Credo che sia difficile descrivere il panico, il terrore, la follia che aveva contagiato un po' tutti. Eppure, c'era poco da fare: occorreva gettarsi in mare. Fu allora che, per quanto non credente, quell'antico compagno d'armi rivolse una disperata preghiera alla Madonna. «Aiutami tu, le disse, per quanto sino ad ora mi sia sempre dimenticato di te». Poi il balzo nel buio. Ebbene, accadde un fatto che quel mio amico ha sempre ritenuto un miracolo. Si ritrovò tra le mani un relitto ed aggrappato a quel relitto si mantenne a galla, sino a quando non venne salvato».
Fatti che segnano un'intera esistenza, ma che, se non vissuti personalmente, passano in superficie, finendo tra le infinite notizie che ottundono la nostra sensibilità. Che ci rendono indifferenti e spesso crudeli nei riguardi del dolore degli altri.
«Ho provato in tutti i modi a far sentire la mia voce, in questi anni, ma a parte l'attenzione che mi ha prestato Il Giornale, i miei appelli sono sempre rimasti inascoltati. Vorrei perciò ringraziare tutti coloro che direttamente o indirettamente mi hanno finalmente prestato ascolto. Innanzitutto, il direttore Maurizio Belpietro, poi Paolo Granzotto, che su Creta è intervenuto più volte, poi Massimiliano Lussana e naturalmente anche lei…».
A parte i ringraziamenti, signor Uca, lei, se non sbaglio, ha un appello ben preciso da rivolgere a ben precise personalità cittadine.
«Certamente. Vorrei indirizzare il mio appello a due personaggi: al prefetto ed al cardinale Bertone. Per me questa è una specie di ultima spiaggia, ma prima di arrendermi voglio tentare ancora. La mia è una richiesta di giustizia. Non pretendo onori o riconoscimenti. Vorrei solo che quei genovesi morti a Creta venissero in qualche modo ufficialmente ricordati. Sa che cosa mi ha risposto, pochi anni or sono, un celebre storico, che va per la maggiore, un autore di biografie molto noto, credo di origine spezzina. Mi ha detto: signor Uca, lei deve mettersi l'anima in pace, perché a Creta, nel corso dell'ultima guerra, non è successo proprio niente. Ecco, vede, è questo muro di silenzio che voglio sfondare, anche a nome di tanti che giacciono ormai da anni sul fondo del mare…».
E al cardinale Bertone che cosa vorrebbe chiedere?
«Ecco, a lui chiederei una messa di requiem, una messa in memoria delle anime di quelli che non ci sono più. Vede, io non sono un gran credente. Mi sono sposato con una persona che trascorre gran parte del suo tempo in preghiera, ma io ho sempre avuto altro a cui pensare. In gioventù, come le ho detto, era un fervente comunista. Poi i fatti di questo ultimo cinquantennio mi hanno fatto simpatizzare per il socialismo democratico.

Oggi…beh, oggi…di fronte al crollo di tutti i nostri valori, non so neppure più io che cosa pensare. Ma una messa credo proprio sarebbe una bella cosa. Non soltanto per me, ma per tutti quei ragazzi che insieme con me salirono, tanti anni fa, alla Guardia, per ringraziare la Madonna. La Mamma che ci aveva salvato».

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