Non basta la furbizia

La situazione internazionale respira un po' con la risoluzione dell'Onu sul Libano. Ma sono tanti i fronti aperti: dalla bomba atomica iraniana agli attentati qaidisti. E questa drammaticità rende sempre più evidente l'insufficienza del governo. Massimo D'Alema e Arturo Parisi contano carrarmati e reparti speciali da inviare in Medio Oriente. Gli estremisti tipo Paolo Cento chiedono una missione non «offensiva». Gli hezbollah da mettere in condizione di non aggredire più Israele, andrebbero convinti con qualche buona parola.
Proprio perché la realtà stessa spinge a un prossimo governo di unità nazionale con pochi e chiari obiettivi, tra cui quelli internazionali, sarebbe opportuno che nel centrodestra si ragionasse sui modi con cui affrontare la situazione.
È evidente che quel che serve al Paese non è un contributo «aggiuntivo» dell'Udc all'attuale maggioranza: l'area radicale del centrosinistra rappresenta un venti-trenta per cento della coalizione e si metterebbe in agitazione se una forza moderata appoggiasse il governo chiedendo - almeno questo - garanzie sul programma dell'esecutivo. Le difficoltà in politica estera, che pesano assai più delle questioni «tecniche» evocate da Mario Monti (e questo è vero anche in Germania dove - come spiega Beda Romano sul Sole 24 ore - la maggioranza appoggia Angela Merkel per la politica estera, nonostante la politica economica sia troppo condizionata dalle lobby) imporranno presto un incontro tra le forze che hanno senso della responsabilità nazionale. Di questo si parlerà a breve, non di un'impossibile «aggiuntina».
Ma come si muoveranno le forze del centrodestra in questo quadro: ciascuno per sé sui vari temi all'ordine del giorno?
Marco Follini rivendica questa linea sulla base di un'analisi che distingue nella Casa delle libertà, un centro moderato innovatore e un'area populista, da distinguere se non da separare. Ma l'analisi è infondata. Il cosiddetto centro moderato e innovatore è quello che su temi come il pubblico impiego o i poteri delle fondazioni bancarie, ha espresso le posizioni ora più populiste ora più conservatrici.
L'idea di una conventio ad excludendum della Lega Nord, causa il suo populismo, è irragionevole anche solo per un motivo: il giorno dopo Margherita e Ds si metterebbero a corteggiare Umberto Bossi. Solo se la riflessione nel centrodestra viene sgombrata da insensate patenti di superiorità, si potrà individuare un metodo per discutere e decidere insieme. Altrimenti, non solo si rischia di danneggiare gli interessi nazionali che richiederanno a breve convergenze, ma anche, sui singoli temi, si potrebbero produrre ferite profonde. L'Udc si considera libera di convergere con il governo sui temi economici. Però poi recrimina su eventuali mosse di An e Forza Italia sulle questioni istituzionali, a partire dalla riforma della legge elettorale.
Si sa come è nata l'ultima legge elettorale: il Corriere della Sera, di converso con ampi settori del malandato establishment italiano, aveva lavorato per costruire nel centrodestra un'area pronta ad autonomizzarsi pur di far perdere le elezioni a Silvio Berlusconi. Questa tattica di logoramento durata per qualche tempo aveva prodotto un effetto sicuro: vi erano fette di elettorato di centrodestra che non avrebbero più votato candidati leghisti (e anche certi candidati forzisti) e altre «fette» che al maggioritario non avrebbero appoggiato per nessun motivo candidati Udc. La scelta di Berlusconi fu dunque obbligata: evitare un sistema (in sé bastardo, pensato nel '92 da democristiani di sinistra che non volevano né rinunciare all'antico potere garantito dalla quota proporzionale né difendere il proprio passato) che avrebbe disgregato il centro destra. Risultato raggiunto. Con, però, un effetto di eccessiva frantumazione partitica, sia pure soprattutto a sinistra. E Romano Prodi, quando tratta di riforma del sistema elettorale, senza dubbio ha obiettivi politici: intimidire le microfazioni del suo schieramento e insieme tenere a bada un Pierferdinando Casini di cui non comprende bene le intenzioni. Ma affronta anche un tema d'interesse nazionale: diminuire il tasso di disgregazione partitica della politica italiana.


A questa chiara «esigenza» nazionale, come deve rispondere il centrodestra, coordinandosi o scegliendo il ciascun-per-sé? E se deve coordinarsi, perché ciò deve avvenire solo su questo tema? In politica la furbizia è indispensabile, ma va ancorata a visioni salde. Altrimenti non porta da nessuna parte.

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