Non c’è gulag senza lager Il «comparativismo» è solo un assioma noioso

Non c’è gulag senza lager Il «comparativismo» è solo un assioma noioso

Francamente, non ne posso più. Non ne posso più d’un espediente dialettico - lo chiamerò comparativismo - che s’inserisce in tutte le polemiche e in tutti i dibattiti italiani. L’espediente, per dirla in soldoni, è questo. Vi occupate, poniamo, di Auschwitz. Ma perché non dedicate eguale spazio ai milioni di vittime dei gulag staliniani? O, all’opposto: vi occupate dei gulag, ma perché trascurate i campi di sterminio nazisti? Il «ma perché?» vale per un’infinità di avvenimenti e anche di personaggi. Descrivete le ruberie del politico tale, ma trascurate quelle del politico talaltro. Sottolineate che un arbitro ha favorito con le sue decisioni la Juventus, ma dimenticate quante volte il Milan è stato gratificato d’analogo trattamento. A questa stregua ogni volta che un giornalista si occupa d’un qualsiasi argomento dovrebbe corredare la sua cronaca o il suo commento d’una infinità di riferimenti a casi simili ma di segno opposto.
Non nego che in alcune circostanze il comparativismo sia utile, anzi necessario. E se è scomodo non importa. Propongo un esempio che per noi italiani può essere sgradevole. Siamo d’uno zelo implacabile nel ricordare e stigmatizzare le crudeli rappresaglie compiute dai tedeschi nella Seconda guerra mondiale, ma sistematicamente glissiamo sulle rappresaglie italiane nei Balcani. Ma se non si tratta di ristabilire un certo equilibrio, la regola dev’essere secondo me semplice: si parla d’una cosa alla volta, di Auschwitz se quello è il tema, del terrore staliniano se quello è il tema. E si affronta un problema alla volta.
Con questa premessa ho voluto chiarire che la critica del lettore - riecheggiata in termini analoghi da altri, e su altri quotidiani - va inserita di pieno diritto nella tecnica del comparativismo. Ritengo che debbano esistere - spero che già esistano - norme per un’adeguata tutela economica delle famiglie di chi ha perso la vita in un incidente sul lavoro. Se qualcuno vuol indire, per quelle famiglie, una raccolta di fondi, lo faccia, onore a lui. Ma alcune tragedie, per le loro dimensioni e per la loro connotazione, sono diverse dalle altre: tali almeno le ritiene Il Giornale. I caduti d’un terremoto catastrofico o d’un agguato di talebani hanno, per l’opinione pubblica, una valenza simbolica ed emotiva che il pur dolorosissimo incidente sul lavoro - come l’incidente stradale - non ha. Nulla vieta a nessuno di essere in disaccordo sulla sottoscrizione per gli orfani dell’eccidio in Afghanistan. Ma di questo si deve discutere. Il dramma degli infortuni sul lavoro merita un esame approfondito.

Ma è altra cosa.

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