"Non è mai troppo tardi". Vale anche per i calciatori

Il centrocampista del Foggia racconta la sua esperienza: «Volevo vivere a 360 gradi e aprire la mia mente»

"Non è mai troppo tardi". Vale anche per i calciatori

Chiudo con il calcio e vado in Tv. A chi riesce il colpo è la soluzione finale, il trionfo sul potenziale travaglio da astinenza post calcio, quella sporca ultima meta che gratifica e mette al sicuro, scarpa al chiodo e microfono in mano: opinionista tv, commentatore, terza voce o quinta ruota, non ha importanza, son soldi.

In Francia, a carriera chiusa, il 55 per cento dei calciatori riesce a restare nell’ambiente, anche se non per tutti c’è un pingue contratto televisivo ad attenderli. Canal Plus, nell’ottobre scorso, ha assunto circa una quarantina di ex calciatori come commentatori televisivi in talk show o dirette dai campi. Le battute irriverenti di Michel Platini, l’apripista, giravano sugli 80mila euro al mese. Per gli ex campioni del mondo come Zinedine Zidane, Christophe Dugarry e Marcel Desailly, tutti a libro paga di Canal Plus, i compensi sono inferiori ma pur sempre incoraggianti: non meno di 25mila euro al mese. Qualcuno ancora in attività, come Patrick Vieira, ha già un invito sulla fiducia da parte di Tf1.

Da noi siamo ad altri compensi, ma restano cifre che azzerano ogni eventuale disturbo da scelta mutuo e spesa al discount. Gli ex calciatori ora opinionisti sono preparati, qualcuno più simpatico che bravo, Tardelli, Dossena, Collovati, Bergomi, Causio, Beccalossi, D’Amico, Altafini, elenco sempre in aggiornamento. Mediaset un po’ meno generosa della Rai, ma chi ha spuntato un contratto annuale arriva a circa 3mila euro a partita, tenendo presente che in una settimana si possono mettere assieme anche due gare di campionato e una di Champions, altrimenti il cachet è di 8mila euro per un week end, al lordo e tutto compreso. Ci sono poi gli occasionali, per esempio gli allenatori in stand by in attesa di una panchina, circa 400 euro per fare da secondo nel commento di una partita.

Allenatori, procuratori o commentatori televisivi, sono le tre vie per restare nell’ambiente, ma nel mondo dei professionisti neppure uno su mille ce la fa e allora meglio chinare la testa sui libri perché in un mondo piccolo e anche molto selettivo, se non c’è più l’amico portaborse che fa la spesa e getta il sacchetto dei rifiuti, magari un po’ di cultura non guasta. C’è gente in gamba che c’ha già pensato.
Luigi Cagni ha incaricato un suo secondo di segnalare siti e luoghi di cultura delle città in cui l’Empoli capita in trasferta, per poi portarci i giocatori. Il Modena ha organizzato dei corsi di aggiornamento e di approfondimento per i suoi tesserati, e l’avvocato Sergio Campana, presidente Aic, vorrebbe inserire nel contratto collettivo una normativa che spinga i club ad incentivare lo studio fra i calciatori: carriera effimera, quattro o cinque anni di ottimo stipendio, quasi altri dieci buoni rispetto alla media nazionale ma poi una vita da inventare a poco più di trent’anni, dopo quella da figurina Panini, e in troppi finiscono spiazzati proprio quando il pallone smette di circolare.

In Francia sono in continuo aumento i giocatori che tornano sui banchi mentre sono ancora in attività, circa il 15 per cento dei professionisti, e in genere seguono corsi di formazione. Joel Delpierre, il direttore di Europ Sport Reconversion, l’associazione che si occupa dell’attività post carriera dei giocatori, ha spiegato che è il fiume dei calciatori che prende coscienza della sua precarietà professionale: «Il 50 per cento di chi possiede un diploma di scuola media superiore, segue corsi universitari - ha spiegato Delpierre -. La maggior parte però frequenta lezioni a distanza tramite web per riprendere le basi della lettura e della scrittura».ù

Da noi Massimo Oddo, ex drop out di Giurisprudenza, sta inseguendo la laurea in Economia politica e aziendale dello Sport. L’Associazione calciatori ha svolto recentemente un sondaggio via Internet che ha coinvolto 1.456 tesserati di serie A, B, C1 e C2, per monitorare la realtà italiana. Con qualche sorpresa. In C2 magari non la mettono nel sette ma non sono neppure così preoccupati del potenziale piede a banana, perché molti di loro hanno il popolare pezzo di carta, la quarta via. In C2 la media dei laureati è del 2,8 per cento contro l’1,5 della serie A, l’1,1 della B e della C1. Mario Dall’Angelo che ha curato il sondaggio per conto dell’Aic, ha trovato anche una spiegazione: «I calciatori di categoria inferiore hanno meno certezze sul loro futuro, più tempo a disposizione e un minore stress da competizione. Nella loro carriera spesso galleggiano fra il calcio professionistico e quello dilettantistico, e questo comporta più stimoli nel cercare vie alternative al calcio».

Ma, tabella alla mano, in serie A quasi il 3 per cento dei nostri calciatori non è in possesso di un diploma di media inferiore.
«Il dato fa sensazione - spiega Dall’Angelo -, ma si spiega con la presenza di alcuni giocatori africani o del Sud America che arrivano da noi senza aver mai aperto un libro e comunque dopo aver smesso di frequentare la scuola a non più di 10 anni». Con delle eccezioni da Guinness. Jonathan Zebina ha aperto una galleria a Milano nella zona di Brera dopo aver scoperto quadri e arte moderna. Ricardo Kakà ha studiato il sistema di navigazione e chiuse dei Navigli, e la prova provata che non tutti sono lì solo per monetizzare la offre Julio Gonzales, paraguaiano di Asunçion. Il ragazzo, purtroppo, è balzato alle cronache per ben altre disgrazie.

Quando qualcuno ha tentato di aiutarlo, dopo la sua partecipazione a Il Bivio di Enrico Ruggeri, offrendogli un posto da commentatore calcistico televisivo, Julio ha risposto: «No grazie, preferisco tentare ancora di giocare al calcio».

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