Non è più tempo di statuti speciali

Sarà che innumerevoli delusioni m’hanno insegnato a non fidarmi. Ma l’entente cordiale tra il ministro leghista Roberto Calderoli e il “governatore” siciliano Raffaele Lombardo, all’insegna del federalismo «di tutti e per tutti», non mi ha convinto per niente. Piace tanto anche a me, figuriamoci, l’idea d’una alleanza degli opposti che generi un’Italia più virtuosa e più efficiente: un’Italia finalmente liberata dagli sperperi, dai clientelismi, dagli assistenzialismi. Sono questi, in fin dei conti, gli obiettivi che hanno in mente i leghisti di buon senso, non gli annunciatori di grottesche secessioni. È forse possibile, è senza dubbio auspicabile che questo nordismo per bene s’incontri con un meridionalismo intelligente (non definirei tale il meridionalismo di chi ancor oggi insiste sulla leggenda d’un regno borbonico prospero, illuminato, progredito le cui mirabili conquiste culturali, economiche, sociali furono rase al suolo dall’infausta Unità marchiata Piemonte).
Ben vengano dunque i passi avanti, e se il colloquio tra Calderoli e Lombardo li avesse lasciati intravedere sarei lieto di registrarli. Ma Calderoli si è limitato a osservare che Lombardo si «era portato via l’iradiddio», il che sembra evocare, più che una riforma epocale, il mercato delle vacche. E Lombardo, pur tra accenni vaghi all’eliminazione deli sprechi e a un miglioramento dei servizi, si è presentato - almeno stando ad alcune cronache - con il piglio del creditore. Perché «ci sono articoli del nostro Statuto che aspettano d’essere attuati da 60 anni». Il ministro avrebbe promesso di «tener conto della specificità delle regioni a Statuto speciale».
Dai due io mi sarei aspettato, o piuttosto avrei voluto, un linguaggio diverso. Avrei voluto che Lombardo, anziché chiedere di più, spiegasse con chiarezza non solo a Calderoli, ma agli italiani, cosa intende fare, urgentemente, per ridurre a dimensioni decenti organici regionali che sono - per numero di addetti e per livello delle retribuzioni - un’autentica vergogna. Avrei voluto che Calderoli annunciasse non che terrà conto di specificità che si traducono in costi per lo Stato e in aggravi per i contribuenti, ma che le regioni a Statuto speciale diventeranno nella riforma federale uguali alle altre. Tutte normali. O tutte speciali se preferite.

Con al più l’eccezione del Trentino-Alto Adige e della Valle d’Aosta, che fondano la peculiarità statutaria su una peculiarità linguistica. Ma le altre, perché devono avere privilegi? Per remote ombre di separatismo o di aggressione internazionale? Davvero non si capisce perché la regione scandalo debba essere più uguale delle altre.

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