Ma non può essere Grillo l’emblema del disagio

Non mi si accusi di lesa maestà, ma io sono d’accordo con la diagnosi di fondo di Ian Fisher sul New York Times. Né si dica che una testata straniera, per quanto autorevole, non ha il diritto di dire la sua sull’Italia, e che farebbe meglio ad occuparsi dei guai a casa propria. Lasciamo questi nazional-provincialismi all’Italietta triste, depressa e ripiegata su se stessa descritta dal quotidiano americano, e cerchiamo di capire quel che è giusto e quel che è sbagliato di una indagine così impietosa.
Il NYT ha ragione nel fondo della questione Italia, ma sbaglia in alcuni dettagli che pure sono importanti. Vede bene quando sottolinea che il nostro Paese non riesce a decidere, a fare riforme e non sa liberarsi da una malapolitica che guarda il suo ombelico piuttosto che i problemi da risolvere. Basta pensare, ad esempio, che da un quarto di secolo non siamo riusciti a fare alcuna riforma istituzionale e costituzionale, di quelle che le democrazie occidentali hanno portato a termine da tempo immemore durante il cosiddetto neocapitalismo. Il funzionamento della macchina istituzionale non è un lusso per addetti ai lavori, ma la condizione essenziale affinché in uno Stato del XXI secolo vi sia un governo capace di rispondere efficacemente alle esigenze di sessanta milioni di cittadini. E basta ricordare gli infiniti vincoli che strangolano l’economia mai liberata dai mille lacci e lacciuoli che leggi antiquate, regolamenti capziosi e burocrazie indifferenti e voraci mantengono in presenza di un mondo globalizzato in cui valgono ormai - per fortuna - l’intelligenza, la competenza e la concorrenza come regole supreme dell’economia di mercato.
Ma, più che moltiplicare i casi delle ragioni del NYT, vorrei accennare a due soli aspetti su cui Fisher si sbaglia. È un abbaglio prendere il fenomeno effimero di Grillo come emblema del malessere nazionale: sarebbe come mettere su una piattaforma universalmente valida per l’America Michael Moore. E non si può liquidare alla leggera la decadenza dello stile di vita italiano che, nonostante i peggioramenti di questi anni, rimane tuttora tra i migliori del mondo, non si sa bene se per l’ambiente naturale, per l’organizzazione della vita o per qualcosa di impalpabile che si trova ovunque, nelle grandi come nelle piccole città, al Sud come al Nord nonostante le criminalità, in campagna come nei centri urbani, nelle aree ancora patriarcali come in quelle borghesi-metropolitane animate da una vita effervescente.


In una parola è sì vero che l’Italia è in un trend decadente, ma ciò è dovuto innanzitutto alla mancata modernizzazione in tre aree essenziali nella vita della nazione: nel funzionamento della politica; nell’ingabbiamento dell’economia, e nell’arretratezza delle libertà civili e dei diritti individuali. Tutte e tre condizioni per far sì che una società moderna sia al passo con i tempi.
m.tedodori@mclink.it

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