"Non sono impigliato nella rete della P3"

"Non sono impigliato nella rete della P3"

Milano - «Ho letto le dichiarazioni e ribadisco quanto già affermato dal mio portavoce giorni scorsi, che le contestazioni eventualmente sollevate nei miei confronti sono del tutto infondate. Ho letto che avrei dato mandato a qualcuno di prendere iniziative... mai dato mandato a nessuno, salvo che ai miei legali». Roberto Formigoni, dall’altra parte della cornetta, non lascia quasi il tempo di fare le domande.

Presidente, ci spiega che cosa è successo? Come si è trovato a fare quelle telefonate?
«Torniamo al 1° marzo 2010. Le liste che sostengono la mia candidatura sono dichiarate improvvisamente irregolari, dopo aver superato tutti gli esami di congruità. Dichiarate fuori gara da chi? Dalla commissione elettorale della Corte d’appello di Milano. Decisione che si sarebbe rivelata del tutto illegittima, come sentenziato due volte dal Tar e poi dal consiglio di Stato. Di lì a un paio di settimane le mie liste sono state dichiarate regolari e irregolare la sentenza contro di noi».

Ricordiamo bene il clima concitato di quei giorni. Ma come le è venuto in mente di chiamare l’imprenditore campano Arcangelo Martino?
«Con un colpo di scena vengono messi fuori gioco il 60 per cento degli elettori, con un atto illegittimo e illegale. Che fa un presidente di Regione, che fa il partito a livello locale, regionale, nazionale? Che fa la coalizione?».

Che cosa avete fatto?
«Ci siamo immediatamente sentiti e convocati e abbiamo cominciato a domandarci, a interrogarci su dove era nata una simile determinazione, dove era la irregolarità. Ci siamo chiesti come fosse possibile una tale bomba atomica contro la democrazia. Da quel momento ogni nostra energia e nostro atto sono stati orientati a capire perché, ad acquisire pareri e particolari, a capire quali erano le iniziative da mettere in atto per evitare un vulnus contro la democrazia. Somigliava a un colpo di Stato, a un atto illegittimo e incostituzionale contro di noi».

Ma chi era questo Martino? Che cosa c’entrava?
«Non so, in quelle giornate lì, tra tutto il partito ci siamo mossi in tutte le direzioni. Abbiamo parlato tra di noi e con altri. Non avremmo dovuto far così? Ci siamo sentiti in dovere di difendere il diritto dei nostri cittadini. Abbiamo sentito legali, li abbiamo selezionati, non è che uno abbia già a disposizione il legale adatto per qualsiasi situazione. Ho sentito molte persone ma non ho mai dato mandato a nessuno: si tratta di un atto formale impegnativo. Ho dato mandato solo a coloro che ho scelto come legali».

Vuol dire che in situazioni tanto difficili può capitare di parlare con qualsiasi persona?
«Qual è il rilievo che mi viene mosso? Aver dato a mandato a qualcuno: non ho dato mandato a nessuno. Abbiamo messo in moto come partito un’attività e sviluppato per tutto il mese iniziative ufficiali per ristabilire il buon diritto. Non ho dato mandato a nessuno. Io, i miei partiti, la coalizione, abbiamo dato mandato ufficialmente a una serie di legali».

E il convegno al quale ha partecipato in Sardegna? Dicono che Carboni abbia lanciato lì la sua rete.
«Ho partecipato nel settembre dell’anno scorso, era dedicato al federalismo fiscale. E ci mancherebbe altro che non partecipassi! Il federalismo fiscale è nato in Lombardia, era presente una serie innumerevole di autorità della politica e della magistratura quali Bassolino, Lombardo, Cappellacci Alemanno, Formigoni, Caliendo. E magistrati di altissimo livello. Leggo che in quell’occasione Carboni avrebbe gettato la sua rete. Io non so se Carboni ha una rete e se l’ha gettata in quel giorno. Certamente io non sono rimasto impigliato».

Vuol dire che non conosce Carboni?
«Credo di averlo incontrato una volta. Certamente non sono rimasto impigliato in quella rete».

E la richiesta di ispezioni a Milano?
«Quali? Guido Podestà e Massimo Corsaro nei giorni successivi hanno inviato al ministro della Giustizia una documentazione su come era andata la vicenda della nostra lista in regione Lombardia. Hanno ritenuto doveroso segnalare al ministro della Giustizia una serie di anomalie a nostro svantaggio».

Le segnalazioni al ministero sono comprensibili, ma perché parlare di ispezioni con Martino?
«No, la ricostruzione giusta è quella che le dico».

Vuol dire che parlava d’altro?
«Io faccio migliaia di telefonate, non posso ricordarle tutte! Ma un presidente di Regione agisce per atti e i nostri sono atti regolari e depositati».

Come giudica l’inchiesta sulla vicenda P3?
«Come ha detto Berlusconi? Quattro sfigati pensionati... ecco, la penso come lui, mi sembra la definizione più caustica e la migliore. Su questo si è costruito un tormentone del quale si fa fatica a vedere che cosa siano riusciti a ottenere. Svolgevano un’intensissima attività di relazione e di contatti senza portare a casa nulla».

Scusi, ma lei perché parlava con questi pensionati sfigati?
«Perché, adesso non c’è libertà di parola in Italia? Non ha visto quante centinaia di persone di rispetto si trovano a parlare con queste persone?».

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