Fausto Biloslavo
«Siamo stati costretti a prendere in ostaggio i turisti italiani. Non abbiamo alcun problema con il vostro Paese o gli europei, siano italiani, tedeschi o francesi. Vogliamo solo che il governo dello Yemen ci ascolti e torni sulle sue decisioni», spiega al telefono con Il Giornale, Mohammed Mabkhout al Zaydi, il capo dei rapitori che tengono in ostaggio i cinque connazionali. La voce è roca, stanca, ma il leader tribale sembra molto disponibile a parlare con un giornalista italiano. Lunico limite è il tempo: telefonate brevi per non sprecare troppo batteria e non venir individuato. Quarantotto ore fa Al Zaydi ha firmato il comunicato, che minacciava di morte gli ostaggi in caso di blitz dei militari.
«Giuro in nome di Allah, lo giuro due volte che non vogliamo farlo, ma se saremo costretti, se i militari ci attaccheranno, ci vedremo costretti a utilizzare misure drastiche nei confronti degli ostaggi», ha ribadito il capo clan che ha fra i 46 ed i 50 anni. Suo fratello Habid Saleh, poco prima aveva parlato con la televisione araba Al Jazeera sottolineando: «Vogliamo dal governo soltanto il rilascio dei nostri parenti». A causa di una disputa fra tribù le autorità yemenite hanno arrestato otto membri del clan Al Zaydi, che i sequestratori vogliono far liberare in cambio dei turisti sequestrati domenica scorsa.
Nello Yemen sono le 11 di ieri sera ed è verso questora che i sequestratori scendono più a valle per accendere i telefonini.
«Non preoccupatevi, gli italiani stanno bene, nessuno è ferito e cerchiamo di garantire loro le migliori condizioni possibili. Questa vicenda spiega il capo dei rapitori riguarda un problema fra tribù, ma lo Stato si è messo in mezzo. Le nostre suppliche e interventi per varie vie non sono serviti a nulla». Alla richiesta di poter scambiare due parole con gli ostaggi per assicurarsi che stiano bene, Al Zaydi risponde: «Adesso non posso farvi parlare al cellulare con loro perché li abbiamo portati in una zona dove non esiste copertura di rete. Per poter usare il telefono sono io a spostarmi fino a dove cè il segnale». Una mezza conferma che gli italiani sarebbero stati spostati in luoghi più impervi, forse separati a causa della pressione esercitata da tremila soldati e poliziotti che cingono dassedio la zona montagnosa della provincia di Marib dove si trovano gli italiani.
«Vorrei ribadire che non cè alcuna mediazione vera e propria in corso, per il semplice fatto che prima le autorità non volevano far arrivare i negoziatori ed ora sembrano intenzionate ad usare la forza. Stanno preparando unazione militare», dice convinto il capo dei sequestratori. Al Zaydi aggiunge che «le forze di sicurezza ci stanno provocando sia da terra che dal cielo. Hanno sigillato la zona e cercano di esercitare una pressione inaccettabile».
La giornata di ieri è stata vissuta con il fiato sospeso per la sorte di Piergiorgio Gamba, Maura Tonetto, Enzo Bottillo, Camilla Romigni e Patrizia Rossi, gli ostaggi italiani. Le forze di sicurezza yemenita hanno rafforzato lassedio con corpi speciali, squadre antiterrorismo, 200 uomini della Guardia repubblicana, un reparto di élite. Il timore è il via a unoperazione elitrasportata che punti a liberare gli ostaggi con la forza. Fonti de Il Giornale, vicine ai rapitori, hanno fatto sapere che ci sarebbe stata una sparatoria nelle prime ore del mattino. I sequestratori avrebbero evitato lo scontro separando gli ostaggi e trasferendoli in zone più impervie dellarea montagnosa dove ora si trovano.
Il ministro degli Esteri Gianfranco Fini ha ripetutamente invitato le autorità yemenite a «utilizzare mezzi pacifici». Secondo indiscrezioni di stampa, lambasciatore italiano a Sanaa, ha bloccato allultimo minuto un blitz. Ma sembra che il governo yemenita voglia usare il pugno di ferro, come ha ribadito ieri il premier Abdul Kader Bajammal: «È un atto di terrorismo, colpiremo i terroristi».
«Abbiamo ricevuto ampie assicurazioni» dalle autorità yemenite sul fatto che non sarà messa a rischio l'incolumità dei cinque italiani sequestrati», ha continuato a ripetere l'ambasciatore italiano Mario Boffo.
Nel pomeriggio la situazione si è rasserenata con lapparente ripresa delle trattative. I mediatori sono tre sceicchi della zona coordinati da Darham Al-Dhama, il segretario del consiglio comunale di Sirwa, dove sono stati rapiti gli italiani. A un certo punto Al Dhama ha aperto uno spiraglio di speranza: «I turisti italiani saranno probabilmente liberati nel corso della notte. Con i sequestratori è stato raggiunto un accordo semidefinitivo». Poche ore dopo, però, veniva smentito dallo sceicco Ahmed Saleh Al Nassiri, uno dei tre negoziatori che ammetteva il fallimento: «A causa delle condizioni preventive imposte dalle autorità di sicurezza yemenite di non accettare alcuna condizione dei rapitori».
In particolare il primo ministro rema contro la solita, pacifica soluzione negoziale adottata nella gran parte delle decine di casi di ostaggi stranieri degli ultimi anni. Il riscatto richiesto: denaro, spesso per costruire scuole , o strade, oppure liberazione di qualche parente in galera.
In tarda serata, nonostante lambasciatore italiano continuasse a dire che «il negoziato prosegue no stop», si è riaffacciato lincubo di un blitz militare, come ha paventato con Il Giornale il capo dei sequestratori.
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