Il nostro pop al Colosseo Antonacci: «Canterò Battisti»

Sì, proprio così. Lui inizierà, dice, da solo, giusto la chitarra acustica e un cono di luce lì in mezzo al Colosseo. E vai con L’eternità, d’altronde quale posto migliore per cantarla. Domenica Biagio Antonacci s’inventerà il suo primo concerto completamente acustico, per di più dentro uno dei simboli italiani più famosi del mondo, forse il più famoso. Seicento persone massimo. Cachet di Antonacci: zero euro, dopotutto l’intento è benefico visto che lo show è stato promosso dalla Commissione Unesco con l’appoggio del Ministero dei Beni Culturali e del Comune di Roma e l’incasso servirà a finanziare borse di studio per giovani archeologi al lavoro in paesi di guerra come la Libia. In più, le immagini saranno in esclusiva sy Sky Primafila in formula pay per view a sei euro: e anche qui il ricavato andrà all’Unesco.
In poche parole un concerto che è, al netto delle critiche dei soliti soloni, anche un signor evento se non altro perché Biagio Antonacci è il primo italiano a cantare al Colosseo. D’accordo, lo ha fatto già Andrea Bocelli qualche anno fa, bellissimo concerto quello. Ma era lirica, mica pop. Prima di lui soltanto superstar inglesi o americane, da Paul McCartney a Simon & Garfunkel, in ossequio alla fregola tutta nostrana di proteggersi sotto l’ombrello dei grandi nomi a prova di biglietto. «Ci saranno quattro archi, un’arpa, due chitarre e la parte elettrica sarà usata nel modo migliore possibile. Acustico sì, ma con energia in modo che il pubblico non si addormenti», ha detto ieri Antonacci durante la presentazione di fianco a Giovanni Puglisi dell’Unesco, al sottogretario ai Beni culturali Francesco Giro, al commissario Roberto Cecchi e all’assessore alla Cultura di Roma, Dino Gasperini. «Perché non diamo un segnale di attenzione da parte della musica verso il nostro patrimonio culturale?» ha spiegato con un filo di sorriso sulle labbra perché «a 47 anni suonati per me è fantastico scoprire un patrimonio che appartiene all’Italia». Certo, sono parole quasi obbligate visto che non capita tutti i giorni di cantare dentro al Colosseo. Ma che fatica per i cantanti italiani, finora, avvicinarsi senza imbarazzi a un connubio, quello con l’arte e soprattutto con la sua tutela, che dovrebbe essere naturale specialmente qui, nel luogo del mondo più ricco di meraviglie. Perciò bravo Antonacci. Ormai è un peso massimo del nostro pop e, con alti e bassi, i suoi album sono un appuntamento fisso per chi ama la canzone italiana sgombra da eccessi autoreferenziali o da quelle esagerate pretese culturali che spesso evaporano in un nanosecondo. Le sue sono canzoni trasversali, godibili, con una cifra stilistica che, volenti o nolenti, è immediatamente riconoscibile. E allora perché non piegarle talvolta a scopi eccezionali come questo? «Sono stato per anni troppo distratto su questo argomento» ha detto con una beata innocenza, aggiungendo che forse è il caso di «fare qualcosa per i ragazzi di oggi, cerchiamo di portare denaro in un serbatoio». Lo farà, lui che è sempre più disinvolto dietro al microfono che nelle occasioni così ufficiali, con una scaletta che ha definito «più spirituale» con brani come Pazzo di lei e Sognami. E poi aggiungendo una sorpresa: «Volevo onorare anche un grande autore non più tra noi, con una canzone che parlasse d’amore in modo chiaro».

Insomma ha scelto Amore caro amore bello, scritta da Mogol e Battisti per Bruno Lauzi, forse uno dei pochi capaci di interpretare in modo del tutto personale i brani di quella coppia d’oro. «Sarà la mia canzone d’amore per il Colosseo» ha concluso prima di correre a definire gli ultimi dettagli, emozionato come un debuttante (e dire che pochi giorni fa ha cantato pure all’Arena di Verona).

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