Marcello Foa
In mattinata una cattiva notizia: lIran si ricrede e boccia il compromesso offerto da Mosca. Poi nel pomeriggio una buona notizia: Teheran accetta di aprire lex sito militare di Lavizan agli ispettori dellAgenzia internazionale per lenergia atomica (Aiea). Domani o, al più tardi fra due giorni, si ricomincerà, magari dopo aver ascoltato un nuovo, demagogico proclama antisraeliano del presidente Ahmadinejad. Ma quella che ad alcuni appare come una condotta ondivaga, se non addirittura schizofrenica, in realtà rientra in una strategia accorta, simile a quella adottata dalla Corea del Nord nel 2003. Ricordate? Bush aveva citato il regime comunista tra i Paesi dellAsse del Male, ma Pyongyang riuscì a tenere in scacco la comunità internazionale alternando minacce apocalittiche e inattese aperture negoziali.
Allora come oggi si trattava di armi nucleari; allora Kim Jong Il, come oggi Ahmadinejad, sapeva di poter contare sulla protezione della Cina; allora Pyongyang era consapevole che gli Usa, impegnati sul fronte iracheno, non potevano permettersi di risolvere il problema con unoffensiva militare, come oggi Teheran. La differenza è che la Corea del Nord possiede la bomba atomica da diversi anni, ma essendo isolata e impaurita, è improbabile che ceda alla tentazione di venderla ad altri Paesi. LIran invece non ce lha ancora, ma sta facendo di tutto per procurarsela, e una volta che ne sarà in possesso non è escluso che possa usarla per davvero o, perlomeno, che possa servirsene come strumento di ricatto per destabilizzare il Medio Oriente.
Di certo, in questi giorni lo scopo di Teheran è di guadagnare tempo, e avvicinarsi al giorno X ovvero al giorno in cui avrà costruito le centrali nucleari in grado di fornire luranio necessario per fabbricare ordigni. Quanto tempo manca? Secondo alcuni esperti tre anni, secondo altri dieci, ma considerati i frequenti fallimenti dellintelligence occidentale in Medio Oriente, Europa e Stati Uniti (oltre, ovviamente, a Israele) non vogliono correre il rischio di nuove sorprese e perciò sono determinati a mantenere la pressione sugli ayatollah.
Mercoledì scorso sembrava profilarsi una soluzione positiva: il capo negoziatore iraniano, Ali Larijani, in visita a Mosca aveva definito «positiva» la proposta del Cremlino di arricchire in territorio russo luranio iraniano. Dunque, Teheran avrebbe potuto avere le centrali, ma al contempo il mondo avrebbe ottenuto la garanzia che il materiale necessario per costruire la bomba sarebbe rimasto fuori dai confini iraniani. Ma ieri lo stesso Larijani ha definito «insufficiente» il piano di Putin.
E così la crisi torna al punto di partenza. Ieri è scesa ancora una volta in campo lEuropa. Secondo la bozza delle conclusioni dei ministri degli Esteri dei Venticinque, che si riuniranno lunedì a Bruxelles, la Ue chiederà un coinvolgimento del Consiglio di sicurezza dellOnu nel dossier nucleare iraniano «per rafforzare lautorità dellAiea». Lobiettivo è di giungere a una decisione in vista del Consiglio dellAgenzia atomica, che si riunirà l1 e il 2 febbraio a Vienna. Ma il linguaggio è estremamente cauto e si parla di «interessamento leggero» da parte delle Nazioni Unite. Gli europei in questo momento sembrano intenzionati soprattutto a non urtare la Cina, che un paio di settimane fa ha annunciato il proprio veto a eventuali nuove sanzioni dellOnu contro lIran. La ragione di tanta premura è facilmente intuibile: il petrolio, che Teheran da qualche tempo fornisce in abbandanza ai cinesi.
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