Milano - Cantautori addio. In fondo le nuove esternazioni del Lucio Dalla antiabortista, credente e mai comunista non sono altro che l’ultima conferma: una generazione, quella dei menestrelli ideologizzati, che ha trainato la canzone italiana per trent’anni, si è frammentata, spappolata in una diaspora che ha effetti sorprendenti, talvolta sconcertanti, spesso sottovalutati da chi si è fossilizzato nella memoria del tempo che fu. Certo, il primo a intuire la vaghezza di certo furore ideologico e dell’integralismo utopico di molte canzoni è stato Giorgio Gaber, che infatti ha patito per anni il distratto ostracismo degli intellettuali più schierati (ricordate Qualcuno era comunista?). Ma anche l’onda lunga delle suggestioni individualiste e superomiste di Vasco Rossi e l’evento epocale dell’ispiratore di molti cantautori, Bob Dylan, che nel 1997 si esibì a Bologna davanti a Giovanni Paolo II (e si sa che l’allora cardinal Ratzinger non era d’accordo), hanno abbattuto le barriere, riempito fossati, aperto distese fino a poco prima impraticabili. E lentamente si sono delineate nuove sotto-categorie, certamente prive della originaria virulenza e molto meno condizionanti l’opinione pubblica ma egualmente fascinose. Così ci sono, si passi il termine, i revisionisti come Gino Paoli o Francesco De Gregori che didascalicamente nel Cuoco di Salò e poi lucidamente in alcune interviste (come quella all’Espresso nel 2002 o a Cazzullo sul Corriere nel 2003) ha ammesso che «quando ho suonato per una causa politica mi sono sempre pentito perché alla fine ci si sente usati», arrivando addirittura a non escludere di potersi riconoscere, un giorno, nelle posizioni «della destra». Frasi di enorme importanza per chi, nel ’73, partecipò, entusiasta o no ma di sicuro consapevole, a una tournée di autofinanziamento per quella Lotta Continua che due anni prima aveva benedetto l’assassinio di Calabresi. Parole con una eco lunghissima e spesso mal calcolata. Parole nuove che ammortizzano l’efficacia di quelle cantate da due generazioni di italiani e ormai viste non più come assiomi rigorosi ma come semplici fasi transitorie. Chiuso l’ombrello protettivo del Pci e affievolita la cassa di risonanza che immancabilmente garantiva, il clima da liberi tutti ha consentito spontanee e sbalorditive prese di posizione. E se qualche volta sono sorprendenti come quella di Gianni Morandi (non è un cantautore però) che nega di essere stato comunista dopo aver ricordato per decenni la gioventù a pane e Capitale di Marx, in altri casi hanno il sapore liberatorio di chi finalmente può dire quello che ha sempre pensato. Certo, c’è chi come Francesco Guccini è rimasto fedele a quella «medesimezza umana», l’identità esistenziale tracciata da Gramsci e confermata in quell’Eskimo, simbolo di una coerenza personale e non condivisa, quasi anarcoide, affidata alla «poesia dotta» che ha convinto anche Eco. E come Guccini, per altri versi, Fiorella Mannoia e Gianna Nannini, lei sempre ribelle e quindi anarchica, rombante, genuina. Su un altro livello, più complesso e opinabile, stanno i «ma-anchisti» come Claudio Baglioni, sbeffeggiato per anni dalla sinistra e poi sdoganato da Veltroni sull’Unità. O Antonello Venditti, ondivago in una sorta di cattocomunismo ultra sfaccettato e diretto chissà dove. Sui forum del web i fans sono sbalorditi, qualcuno prova a seguire, altri non capiscono categorie ormai imprigionate nel passato. C’è chi, come Mogol o Enrico Ruggeri, se ne è sempre tenuto fuori e ora assiste quasi distratto (o rassegnato). E c’è chi si è ripiegato clamorosamente come Lucio Dalla, che ha smantellato tutto ciò che i fans credevano di lui. L’autore di Disperato erotico stomp ora si sente, come ha detto ieri sera al Tg1 smentendo l’affiliazione all’Opus Dei, un incrocio «tra Peppone e Don Camillo». Per lui La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci è stata «una folgorazione» e «la sinistra che ignora Celine, Pound, Evola è debole e bigotta». Infine orgogliosamente professa la sua fede. Come ha fatto Vecchioni in un’intervista di novembre all’Avvenire: «Negli ultimi due anni mi sono avvicinato a Dio (...). Spesso prego. Dico l’Ave Maria, il Credo, il Pater Noster». Obbligati per decenni a esternare su qualsiasi argomento, accolti sempre con ovazioni incondizionate, oggi ai cantautori storici è persino vietato il pudore delle proprie convinzioni: devono rivelarle, ne sono quasi obbligati e così si espongono agli immancabili, spesso impietosi, confronti col passato.
E quindi ben venga la delicatezza di Jovanotti che ha smaltito in fretta la vocazione da guru, pagandone lui sì le conseguenze, e ora può permettersi di rispondere come ha fatto a Massimo Poggini di Max: «Avrei meno vergogna a far vedere il pisello che non a parlare del mio rapporto con la religione e la spiritualità. Trovo spudorato che le star si raccontino sotto questo aspetto». Una liberazione, era ora.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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