Il trapianto di mano non è ancora di routine. Si tratta di un intervento speciale che in Italia sinora è stato praticato, per tre volte, a Monza. Ed è sempre da qui che si vorrebbe tentare unoperazione estrema: la correzione chirurgica in utero di arti malformati.
Unimpresa in cui è pronto a cimentarsi il professor Marco Lanzetta, direttore dellIstituto di Chirurgia della Mano, che ha dato una nuova mano ai tre pazienti italiani e che ha collaborato al primo trapianto internazionale di mano dieci anni fa a Lione. Un evento questultimo, che si è concluso malissimo: i chirurghi sono stati costretti ad amputare larto trapiantato a causa dellinterruzione dellassunzione dei farmaci anti-rigetto. Ai tre pazienti italiani è andata decisamente meglio. Per ora stanno bene ed esibiscono con orgoglio la loro nuova mano.
È il caso di Domenico DAmico, un magazziniere che, operato nel 2002, ha ripreso il suo lavoro a pieno regime manovrando anche lelevatore meccanico per scaricare le merci. Luomo era presente ieri alla conferenza stampa organizzata da Lanzetta per fare il punto sul passato e il futuro della chirurgia degli arti.
E se sinora il professore si è dedicato a pazienti adulti adesso vorrebbe che fosse la volta dei neonati, ai quali trapiantare una nuova manina o farli nascere senza malformazioni agli arti correggendole quando sono ancora nel pancione della mamma. Due imprese non da poco.
La prima addirittura non condivisa da tutti gli altri chirurghi che nel mondo trapiantano mani. È lo stesso direttore dellIstituto Italiano di chirurgia della mano, una struttura convenzionata con il San Gerardo, ad ammetterlo. «Tra i chirurghi che operano nei 14 centri internazionali (in Europa, America e Cina) dove si effettuano trapianti di mano siamo in due o tre assolutamente convinti che quando serve davvero il trapianto sui neonati sia ragionevole».
Chissà se è altrettanto controversa lultima frontiera che Marco Lanzetta intende superare: operare gli arti malformati prima della nascita. «Quello che sono pronto ad effettuare - sottolinea - è un intervento unico al mondo per quanto riguarda patologie come la Sindrome da costrizione congenita da bande amniotiche».
Non è, invece, una novità nel caso dei soggetti affetti da Spina Bifida. Negli Stati Uniti ci si cimentano già. Il professore monzese è pronto ad intervenire gli manca però il ginecologo con cui collaborare. Lo sta cercando in Europa.
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