Marcello Foa
Che cos'hanno in comune Angela Merkel e José Luís Rodriguez Zapatero? In apparenza nulla. Lei è la cancelliera tedesca, leader della Cdu, filoamericana. Lui è il premier spagnolo, guida il Partito socialista e diffida dell'America di Bush. Lei ha vissuto gran parte della propria vita nella Germania comunista ed è entrata in politica casualmente, 15 anni fa. Lui già ai tempi dell'Università bazzicava la sinistra e a soli 26 anni è stato eletto in Parlamento. «Angie», come la chiamano in Germania i suoi fan, trova in Helmut Kohl dapprima il proprio tutore e ora, nonostante i dissapori di qualche anno fa, il proprio modello di riferimento; e dunque la concretezza, il senso della storia, la coerenza. «Bambie», così soprannominato in Spagna per l'aria mansueta e gli occhi di cerbiatto, si è formato ai tempi di Felipe Gonzalez e da lui ha ereditato la passione per la modernità e per i diritti civici. Due mondi a parte: la destra moderata, la sinistra progressista.
Eppure, se analizzi da vicino il loro comprtamento ti accorgi che quelle etichette appaiono sempre più sbiadite. E non solo perché sia l'una sia l'altro sono costretti a guidare governi di coalizione; la Merkel con i socialdemocratici, Zapatero con i partiti autonomisti regionali. C'è del metodo nella loro azione di governo, c'è il desiderio di smarcarsi da formule che entrambi reputano obsolete. Non paragonate il premier spagnolo a Tony Blair, né la cancelliera alla Thatcher; si arrabbiano moltissimo. E hanno ragione. L'archetipo della «Terza via» appartiene all'Europa degli anni Novanta ed è in via di esaurimento, come dimostra la crescente impopolarità del partito laburista britannico.
Le riforme della «Dama di ferro» servivano negli anni Ottanta a scuotere un Paese, la Gran Bretagna, in rapido declino, paralizzato dallo strapotere dei sindacati e intorpidito dal ricordo dei fasti dell'impero coloniale. Pensare di applicare quelle formule all'Europa del Duemila significa astrarsi dalla Storia e, come prova la Francia in questi giorni, rischiare di creare nuovi problemi nel tentativo di risolvere quelli esistenti. Zapatero e la Merkel hanno capito che in un'Europa in declino, sconvolta dagli effetti di una globalizzazione che sta accelerando pericolosamente i processi di deindustrializzazione dell'economia e che di riflesso induce la gente a chiudersi, occorre intraprendere nuovi percorsi, senza rinnegare la propria identità politica; semmai rafforzandola. Ma al contempo lasciandosi ispirare da una valutazione pragmatica della realtà, anche a costo di sfidare gli stereotipi dell'opinione pubblica o di scavalcare steccati ideologici ritenuti invalicabili.
Prendiamo Zapatero. Ricordate? All'inizio della legislatura mandava in visibilio i progressisti di tutta Europa e in particolare quelli italiani. Finalmente un premier che diceva (e faceva) cose di sinistra: via le truppe spagnole dall'Irak, come promesso durante la campagna elettorale. E poi: sì ai matrimoni tra gli omosessuali, alla riproduzione assistita, al divorzio veloce. E poco importa che la Chiesa nella cattolicissima Spagna non fosse d'accordo: le rimostranze dei vescovi, di centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato nelle piazze delle principali città, persino del Papa, non sono servite a fermare il capo del governo. Un sovversivo nel campo dei diritti civili e sociali; un radicale in politica estera. Ma per il resto un conservatore, un liberale, un illuminato. L'altro Zapatero, quello che fa tutto fuorché cose di sinistra.
In economia, innanzitutto. Le riforme varate negli anni passati da Aznar hanno portato la Spagna sulla via della rinascita economica? Benissimo, si continua su quella strada. Non una delle leggi del precedente governo è stata cambiata. Anzi, a gennaio il premier socialista ha annunciato una riforma fiscale che ridurrà le imposte sia a carico delle persone fisiche sia delle aziende. L'aliquota massima scenderà dal 45 al 43%, quella esentasse salirà a 9000 euro. «Una riforma di destra», hanno protestato i sindacati, ma Zapatero ha fatto spallucce. E pochi giorni fa ha rincarato. In una Spagna che da tempo convive felicemente con il principio della flessibilità, non c'è ragione che i funzionari pubblici mantengano i loro privilegi. Anche loro devono adattarsi alle regole di un'economia moderna. Dunque addio al posto fisso, sì ai licenziamenti per bassa produttività o per assenteismo. Si premiano i migliori, si cacciano gli inadempienti e i fannulloni. Una rivoluzione. Anche questa volta i sindacati hanno protestato, ma l'83% degli spagnoli approva il nuovo Statuto.
E ancora: è Zapatero ad avere la mano ferma contro gli sbarchi degli immigrati clandestini e a non avere remore nel sostenere la linea ferroviaria dell'Alta velocità che scandalizza i no global nostrani. Lui ad avviare lo storico processo di pace con i terroristi baschi dell'Eta e a non esasperare le tensioni con gli Usa, respingendo le richieste di chi voleva ritirare anche le truppe dall'Afghanistan; sempre lui a mantenere buoni rapporti con i governi conservatori della Ue, incluso quello Berlusconi, infischiandosene dei mugugni dell'ala più estrema dei suoi sostenitori. Un leader pratico, mai demagogico, che rifiuta l'esibizionismo e le mondanità. Un leader che non si stanca di ricordare che in una democrazia rappresentativa «è il potere che guarda alla gente e alla società civile e non viceversa».
Come assomiglia alla Merkel, la cancelliera che non si è ancora abituata alle fatue regole della politica-spettacolo. Lei così seria, rispettosa, semplice e diretta. Una tedesca all'antica. Ex scienziata, predilige i fatti e non si lascia demoralizzare quando commette degli errori; come quello dello scorso settembre, quando rischiò di perdere le elezioni per eccesso di sincerità: puntò tutto sull'introduzione della «flat-tax», persuasa che il suo popolo avrebbe capito e apprezzato. Si illudeva, i tedeschi non erano pronti e si spaventarono. Ora, da cancelliere della Grosse Koalition, ha imparato la lezione. «Tanti piccoli passi possono essere meglio di pochi grandi passi radicali - afferma - così come tanti piccoli computer connessi in Rete funzionano meglio di un solo gigantesco elaboratore». La Germania come Internet e un modello, quello del capitalismo sociale, «che va cambiato perché vogliamo salvarlo».
La rotta della Merkel è chiara: mantenere il welfare ma a condizione che non penalizzi le generazioni future; cambiare lo Stato ma solo per renderlo più lineare e responsabile. Assecondare, e non contrastare, le dinamiche della globalizzazione, dando però più potere alle istituzioni internazionali affinché creino un nuovo ordine. E incentivare la creatività, il dinamismo, lo spirito imprenditoriale di una società in cui da troppo tempo i diritti prevalgono sui doveri.
Un discorso che ai tedeschi piace: il tasso di gradimento della Merkel è dell'80%, il più alto mai accordato a un capo di governo del Dopoguerra. E che certo va ancora verificato. Zapatero è al potere da due anni, lei da nemmeno sei mesi. Davanti a sé vede profilarsi i primi ostacoli, già questa settimana, quando verrà decisa la sorte del progetto per allungare a due anni il periodo di prova per i nuovi contratti di lavoro (simile a quello che Villepin cerca di introdurre in Francia), a cui l'Spd ora si oppone; per non dire della riforma che renderà più cara la Sanità e che sta provocando attriti tra i due partiti di governo.
Ma la Merkel non molla mai. «Se vuoi vincere devi imparare a superare i tuoi limiti - ripete spesso -. Se vuoi che la gente ti creda devi abituarti a dire la verità». E a mediare, trattare, convincere. Piace, la cancelliera, persino ai ministri socialdemocratici che, come la responsabile della Sanità Ulla Schmidt, ammettono di andare volentieri alle riunioni di Gabinetto «perché non ci sono più show personali come ai tempi di Schröder e Fischer, ma discussioni aperte, intense e cortesi fra uguali». Piace anche ai grandi del mondo: a Bush, con cui ha ricucito lo strappo, chiedendo però alla Casa Bianca la chiusura di Guantanamo e la rinuncia a ogni forma di tortura.
Non sottovalutate la Merkel e nemmeno Zapatero. Solidità e fantasia. A Berlino e Madrid sta nascendo una nuova Europa.
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