Il nuovo «Karate Kid» picchia duro ma è troppo bamboccio

È un classico dell’adolescenza, farsi largo nell’ostilità dei compagni cattivi. E non è un caso se Karate Kid, film d’iniziazione per ragazzi, girato nel 1984 da Harald Zwart, con Ralph Macchio come provinciale sedicenne, frustrato dai bulli della California rampante, nel tempo è diventato di culto. Così Will Smith, il Principe di Bel Air, e sua moglie Jade Pinkett quest’anno puntano sulla formula vincente delle arti marziali, esercitate da indifesi minorenni in via di sviluppo, per lanciare il primogenito Jaden. Il ragazzino undicenne, già apprezzato nel mucciniano La ricerca della felicità, è ora protagonista di Karate Kid (dal 3 settembre nelle sale), nuova versione del classico di ventisei anni fa. Naturalmente sono subentrate delle variazioni, neanche troppo apprezzate dalla critica (Karate Kid è appena uscito negli Usa e nel resto d'Europa), ma il modello base rimane invariato. Invece della California, stavolta siamo in Cina, visitata in lungo e in largo dal piccolo Dre Parker (Jaden Smith), che lascia Detroit per seguire la madre (Taraji Pittenson), trasferita per lavoro nel Celeste Impero.
Bella mossa commerciale, dato che il gigante cinese ha fornito gratis le splendide location, quasi uno spot turistico, invitante a visitare la Città Proibita e la Grande Muraglia, riprese nel loro splendore. Né mancano i misteriosi Monti Wundang, a fare da palcoscenico agli allenamenti di baby Smith. Ma allora, perché non intitolare il film Kung Fu Kid, dato che i combattimenti s’ispirano al cinese Kung Fu e non al karate, originario di Okinawa, Giappone? Magari è la stessa logica mix, con cui i ristoranti etnici si presentano in versione nippocinese, mescolando sushi e involtini primavera in nome dell’indistinto esotismo orientale.
Invariato il maestro di Kung Fu, il solito Jackie Chan, qui il capo-palazzo Mister Han, tipo saggio, ma tosto, che troverà il modo d’insegnare a Dre la giusta dose d’autostima. A base di calci, sparati in alto alla Chuck Norris, l’adolescente supererà allenamenti difficili, perlopiù nelle palestre scolastiche cinesi.
C’è, insomma, molta scuola nel remake di Karate Kid, già battezzato «Kindergarten Karate», per via della sua inclinazione pedagogico-tenerella. Se nel film precedente, il protagonista risultava fisicamente credibile, con le sue mosse aggressive e difensive (a sedici anni si è già uomini), qui Jaden mostra fattezze ancora molto infantili e, nonostante un training di tre mesi, con la supervisione di Jackie Chan, la Sueddeutsche Zeitung nota: «Sarebbe meglio che Jaden risolvesse i problemi come fa suo padre, con una risata sfrontata a tutte gengive». Il ragazzino Smith, comunque, ha visto più volte l’originale, con Ralph Macchio in lotta per la sua indipendenza, trovando che nel suo, di film, «c’è molta più storia e un bel po’di attori affascinanti».

Jaden non è l’unico figlio, che Smith cerca di piazzare a Hollywood: esiste anche Willow, 9 anni, che ha recitato con papà in Io sono una leggenda. Quanto a familismo, insomma, neanche gli americani scherzano: la crisi perdura e chi ha il nome in cartellone da qualche decennio, manda avanti il rampollo.

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