Lo hanno paragonato a Franklin Delano Roosevelt, a John Fitzgerald Kennedy, qualcuno addirittura lo considera un Reagan progressista; ma dopo due settimane alla Casa Bianca, Barack Obama assomiglia sempre di più al premier britannico Tony Blair, prima maniera, che durante i primi cento giorni a Downing street annunciò altrettante riforme, tra gli urrah della stampa nazionale. Ma sarebbe bastata una verifica più attenta per accorgersi che le novità erano non più di una decina e in linea con quelle del governo conservatore. Insomma, Blair sapeva come imbeccare la stampa e beneficiare della popolarità di ritorno.
Il nuovo presidente della Casa Bianca non ha annunciato una riforma al giorno, ma la sua politica appare sempre meno rivoluzionaria e, per molti versi, non dissimile da quella di Bush. Sull'Irak, ad esempio. In campagna elettorale aveva promesso il richiamo delle truppe «entro un anno», ora parla di «ritiro sostanziale» di un numero importante ma imprecisato di soldati e si guarda bene dallo smentire gli strateghi del Pentagono secondo cui una parte delle truppe Usa rimarrà almeno fino al 2011.
Una settimana fa ha annunciato la fine delle operazioni di «rendition» ovvero dei rapimenti segreti all'estero di presunti terroristi e il loro trasferimento in Paesi, dove spesso vengono torturati. In realtà, nel decreto presidenziale, Obama auspica la fine di queste pratiche, che, pertanto, continueranno. E in Afghanistan? Doveva inviare 30mila soldati per sconfiggere i talebani, ma saranno, almeno per ora, non più di 15mila, secondo la Cnn.
Certo, Barack vuole dialogare senza precondizioni con l'Iran, chiuderà davvero Guantanamo, sarà più comprensivo con i palestinesi ed è smanioso di migliorare i rapporti con il mondo arabo e, in genere, islamico. Il cambiamento è innegabile e condizionerà positivamente la popolarità degli Usa nel mondo, tuttavia è prevalentemente di immagine. Tante buone intenzioni, ma concretamente che cosa cambierà? Nessuno per ora lo sa.
Poco importa, lo show deve andare avanti. E allora ecco gli spin doctor passare ai media veline sull'e-mail segreta del presidente, sulla sua intenzione di continuare a usare il Blackberry e, naturalmente, sulla direttiva che permette ai dipendenti della Casa Bianca un abbigliamento meno formale.
La macchina della propaganda gira a mille, anche sul fronte interno. La svolta sull'aborto si è ridotta al ripristino di una legge che permette finanziamenti alle organizzazioni non governative impegnate nella pianificazione familiare, che prevedano l'interruzione di gravidanza tra le misure per il controllo delle nascite. Insomma, un gesto simbolico e, soprattutto, rituale. Il limite fu introdotto da Ronald Reagan, tolto da Bill Clinton, reinserito da George Bush e ora ritolto da Obama. Altre misure non sono nemmeno allo studio e dunque la legislazione in materia per un bel po' non cambierà.
Dal nuovo presidente ci si aspettava una svolta moralizzatrice, soprattutto contro la corruzione e l'influenza delle lobby. Bene, ma il sito Politico ha scoperto che ben dodici tra ministri e sottosegretari sono lobbisti, tra cui William Lynn, esponente dell'industria delle armi nominato numero due del Pentagono con l'incarico di... presiedere il comitato per l'acquisto degli armamenti. Il conflitto di interessi è colossale come lo era quello di alcuni esponenti della precedente amministrazione, ma, come Bush, Obama non si è ricreduto, confermando Lynn e gli altri undici apostoli.
Si è indignato quando il New York Times ha pubblicato la notizia dei bonus da 18,5 miliardi di dollari incassati dalle banche salvate con i fondi pubblici e ha annunciato provvedimenti per scongiurare il ripetersi di episodi analoghi. Ma non ha nemmeno tentato di punire i manager ingordi, né di farsi restituire il maltolto. Chissà come mai...
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