Gian Micalessin
Una «pioggia d’estate» contro la guerra degli ostaggi. Nella Striscia i carri armati Merkava, gli F-16, gli elicotteri Apache e migliaia di soldati disegnano lo scenario dei giorni a venire. In Cisgiordania i militanti armati rispondono facendo scorta d’ostaggi per rispondere con il ricatto allo strapotere militare del nemico. Ora nelle mani di Hamas, dei Comitati di Resistenza Popolare e delle Brigate Martiri Al Aqsa, entrate da ieri in scena, non c’è più solo l’imberbe 19enne caporale Gilad Shalit, ma anche un giovanissimo colono catturato in Cisgiordania domenica scorsa e un 62enne signore israeliano scomparso 24 ore fa nei dintorni di Rishon Letzion. Mentre Israele ha deciso di arrestare il ministro del Lavoro palestinese Mohammed Barghouti, fermato a un posto di blocco a Ramallah.
La partita è dunque sempre più complessa, sempre più difficile. Israele è costretto a dosare le proprie azioni, a muoversi esibendo potenza, ma anche circospezione per non mettere a rischio la vita del caporale e degli altri dispersi. La grande paura, la sindrome da ostaggio che affligge il governo e i militari emerge dalla lenta intermittenza della «pioggia d’estate», nome in codice della manovra in corso. Non uno scroscio di bombe. Non un’occupazione. Non un blitz. Piuttosto una vasta operazione dimostrativa la cui furia è lontana dallo scatenarsi. Certo per la popolazione palestinese già questo basta e avanza. Da ieri settecentomila abitanti della Striscia sono costretti a vivere a lume di candela. Da ieri i rubinetti sono asciutti, l’acqua è diventata un bene prezioso. Quanto basta al presidente palestinese per accusare Israele di crimini contro l’umanità, anche se il dispiego di Merkava, aerei e soldati non ha, finora, causato una sola vittima.
La prima azione dimostrativa dell’esercito israeliano ha invece distrutto l’unica centrale elettrica palestinese da cui dipende il 65 per cento delle forniture nella Striscia. Nove missili colpiscono le tre turbine e il serbatoio di gasolio dell’impianto, lo trasformano in un inferno di fiamme e ferraglia contorta. Gli unici a ricevere ancora energia sono gli abitanti del nord di Gaza, rifornito dalle centrali israeliane. Dalla notte di martedì, quando carri e aerei hanno iniziato le operazioni, anche muoversi è difficile. Tre ponti sono stati sbriciolati dalle bombe, tre delle principali arterie di Gaza sono vicoli ciechi. Bombardare le vie di comunicazione serve ad impedire il trasferimento dell’ostaggio, a bloccare sequestratori e rapito nella loro prigione. Ma poi bisogna anche trovarla. Israele può contare su legioni d’informatori, ma se nessuno ha visto la buca in cui si sono sepolti i secondini e il loro prigioniero la ricerca può durare settimane. Soprattutto se la cellula ha tagliato i rapporti con il mondo esterno ed è autosufficiente per rifornimenti e generi alimentari. Nel frattempo Israele fa incetta di posizioni e di territori per barattare un eventuale rilascio non con prigionieri, ma con un progressivo ritiro. L'aviazione israeliana ha diffuso volantini che invitano gli abitanti di Beit Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza, a lasciare le loro case in vista di un'operazione militare nel settore.
Hamas capisce e costringe - per la prima volta - lo stesso governo di Ismail Haniyeh a trattare lo scambio del caporale Gilad Shalit con le donne e i prigionieri di meno di 18 anni detenuti nelle carceri israeliane. Con un comunicato che suona come una giustificazione per una mossa non desiderata e non autonoma, il ministro dell’Informazione palestinese sottolinea la «naturale logica» dello scambio. «Questi accordi sono già stati fatti in passato dai governi israeliani con l’Olp e con Hezbollah, questo è quanto fanno altri Paesi in situazioni del genere», recita il comunicato quasi per convincere Israele.
Intanto l’artiglieria israeliana mette a punto il tiro dei propri obici martellando la zona intorno alla città di Gaza e l’aviazione, dopo aver colpito con un missile un centro d’addestramento di Hamas sorto nell’ex insediamento di Morag, dissemina di missili le zone intorno ai centri abitati. Malgrado i soldati e i carri armati siano penetrati anche nella zona nord, le principali aree in cui sono concentrate le ricerche del caporale rapito sono quelle intorno a Rafah e al vecchio aeroporto. Lì carri armati e soldati hanno stabilito una presenza permanente occupando e presidiando zone ben precise. Le operazioni continueranno fino a quando non sarà salvo il caporale Shalit, ha promesso il premier Ehud Olmert, e proseguiranno anche se Israele dovrà «ricorrere ad azioni estreme». Stati Uniti ed Unione Europea, pur riconoscendo il diritto israeliano all’autodifesa, richiamano intanto entrambi i contendenti alla moderazione. «Israele ha il diritto di difendere se stesso e la vita dei propri cittadini», ricorda il portavoce della Casa Bianca Tony Snow, che però chiede all’alleato di prestare estrema attenzione «a non colpire civili».
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