Serena Coppetti
Ci sono delle cose che si attraggono nella mente come fossero calamite. In una sorta di «logica» del condizionamento, tanto banale quanto reale. Esempio. Dici Albania e subito ci associ limmagine di un gommone sgangherato traboccante di corpi. Tanti corpi, uno sullaltro. E sopra occhi stanchi, impauriti. Feroci e granitici. A scardinare questa associazione di idee ci provano i sorrisi rassicuranti di otto ragazzi. La più piccola ha 17 anni. La più grande 24. Sono albanesi. Vivono in Albania e vogliono raccontare unaltra storia: agli albanesi giovani come loro per dire che cè anche un altro modo di cercare la fortuna. E agli italiani che stanno di là dal mare per dire che cè anche anche un altro modo di essere albanesi. Il loro sorriso è il biglietto di invito per il loro paese, Bathore, alla periferia di Tirana.
Offrono la loro casa, divideranno il loro cibo, accompagneranno i turisti in giro per la città, sui monti, al mare alla scoperta di unAlbania che per loro è il paese più bello che cè. Li porteranno a parlare con gli anziani del Kanun, le leggi non scritte che parlano di onore e ospitalità e poi del regime e delle vecchie tradizioni. In cambio chiedono 40 euro al giorno. Un contributo ai loro studi. Una mano alla loro voglia di restare nelle loro case per «costruire un paese migliore», per dirla con le loro parole.
Tutto comincia un annetto fa, sulla riva del lago di Bathore. Cè Rajmonda che ha 24 anni e studia per diventare archeologa. Ci sono Roland, 19 anni e Aleksander, di 20 che vogliono concludere luniversità di economia. E poi Bakurie, 17 anni, che è ancora alla scuola superiore ma vuole fare la psicologa per aiutare gli altri a superare i loro problemi. Aurora (18) con la passione per la politica, Ardison, 20 anni, che non avendo possibilità economiche non ha potuto continuare a studiare e allora vorrebbe recuperare almeno con una scuola professionale per imparare a fare lidraulico. Cè anche Mirjeta 21 anni che «per ragioni economiche e di mentalità» non ha potuto continuare a studiare. Sè arrangiata seguendo dei corsi per corrispondenza e ora vorrebbe finire la scuola superiore, recuperare il tempo purtroppo perduto per diventare operatore sociale. E cè Elvira 20 anni che vuole finire la facoltà di giurisprudenza.
Con loro cera anche Erjona, 25 anni e un sogno: «Diventare psicologa per dare agli altri la possibilità di crearsi una buona vita», dice in un buon italiano. Hanno chiaro il loro obiettivo lavorativo e anche il percorso formativo. In questo vengono aiutati dai genitori e si aiutano da soli con qualche lavoro saltuario. Ma non basta. I soldi non sono sufficienti. «Allora - dicono - ci siamo guardati intorno e ci siamo resi conto che il nostro paese offre tante bellezze di natura, storia, tradizione». Così buttano giù un programma. Un «Sette giorni e sei notti» con arrivo il «giorno 1» al porto di Durazzo e conclusione il «giorno 7» con caffè in riva al mare Adriatico davanti al tramonto prima di ripartire per Bari. È una possibilità che si danno.
Bathore è nata una decina di anni fa con le famiglie scese dai monti del nord del Paese ormai ridotto al limite della povertà. Sono arrivate qui, a sette chilometri da piazza Skanderbeg di Tirana, senza niente «e con tanta fatica si stanno costruendo un luogo dove vivere», raccontano.
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