«Ogni giorno violenze rosse contro di noi»

Gianni Pennacchi

nostro inviato a Bruxelles

Per fargli perdere il sorriso depositato su un vertice europeo che s’è concluso senza infamia e senza lode - aveva appena commentato - è sufficiente adombrargli l’ipotesi che il presidente Ciampi ce l’abbia con lui esortando a una campagna elettorale meno imbarbarita. In verità s’era già sfogato al mattino, nella hall dell’albergo, ma ora che sta lasciando la sede del Consiglio europeo per guadagnar l’aeroporto dà libero corso all’amarezza e alla pazienza ferita. È il premier offeso, flagellato e crocifisso, come dice egli stesso identificando immagine corpo e cuore, quello che va in scena a Bruxelles quando mancano due settimane al voto.
Se Ciampi ce l’ha con lui? La risposta di Silvio Berlusconi s’avvia infastidita, un po’ stizzita: «Sono sempre calmo, ma certe cose proprio non le capisco... Ve l’ho ricordato stamattina che ogni giorno a Forza Italia c’è il bollettino di guerra...». Poi s’infuria: «La violenza viene da noi? Gli insulti vengono da noi? E Dio santo, Il Caimano lo abbiamo fatto noi? Noi riceviamo insulti, calunnie, ribaltamenti della realtà, manifesti strappati, io sfigurato. Senza contare le sedi devastate, gazebo bruciati, violenza nelle manifestazioni, ostilità di gruppi che vengono a interferire nella nostra libera comunicazione e nei nostri programmi. E c’è ancora qualcuno che si chiede se Ciampi possa rivolgersi a noi quando parla di una campagna elettorale civile? Il suo messaggio è doveroso, ma è chiaro che si rivolge alla sinistra! Perché noi non abbiamo niente su cui calmarci, niente su cui comportarci in modo più civile di quanto già non facciamo». Quasi pentito di aver perso la calma, ha concluso: «Io sono uno tranquillo, non mi arrabbio mai, però certe volte mi indigno. Arrivederci». Per infine ribattere secco, e aveva già un piede in macchina, alla domanda se dunque avesse concordato egli stesso con Ciampi, quel messaggio. Ha risposto senza voltarsi.
Non male, come ciliegina su questa duegiorni europea - l’ultimo impegno internazionale del Berlusconi ter - che il giorno prima aveva registrato l’evento straordinario dei tre big del centrodestra (tre punte, forchetta o tridente fate voi) per una volta insieme nello stesso luogo e per una volta finalmente in concordanza piena.
Un vero gioco di squadra, con Pier Ferdinando Casini che fustigava Luciano Violante per quel «mafioso» indirizzato al premier, Gianfranco Fini che scorticava Romano Prodi per la vicenda dell’ambasciata americana, e Berlusconi che spaziava in centrocampo.
Soddisfatto in primo luogo il premier, tanto da confessare a tarda sera che per l’ultimo giorno di campagna elettorale pensa a «una grande manifestazione conclusiva della Casa delle libertà», in piazza a Roma, con un comizio a tre voci. Se ne ha già accennato agli alleati? «Con Fini non ci sono problemi, dirà certamente sì. Spero che Casini non si tiri indietro», aveva risposto.
Ieri mattina poi era sceso allegro e fiducioso, convinto che gli ultimi sondaggi, attesi per la sera, avrebbero dato in vantaggio il centrodestra, o almeno alla pari. Aveva già sfogliato i giornali, dunque è tornato subito sulla nota d’allarme di Washington: «Quello che è successo dimostra ancora una volta che la sinistra tenta di intorbidire le acque, quando invece la situazione è chiarissima». Infatti, «tanto l’ambasciata Usa a Roma quanto il portavoce del Dipartimento di Stato hanno chiarito senza nessuna possibilità di fraintendimento che la nota si deve unicamente alla volontà e al discernimento dello stesso Dipartimento».
A Washington «guardano a fatti che conosciamo tutti», e sono «liberi di decidere quello che ritengono più opportuno per tutelare l’integrità dei loro cittadini». Che si vuole? «Quando in Italia ci sono dei cortei in cui si urla contro gli Stati Uniti, manifestazioni dove si incendia la bandiera americana, e il capo di uno dei partiti della sinistra afferma che quando Bush incontra Berlusconi ha le mani grondanti di sangue... Mettendosi nei panni del governo americano non credo si possa avere una immagine positiva e tranquillizzante di ciò che succede in Italia».
La colpa? Della sinistra ovviamente. Nemmeno tanto del suo leader, poiché «Prodi non conta nulla, la voce in capitolo ce l’hanno i leader dei tre partiti comunisti», Massimo D’Alema (ancor più di Piero Fassino), Fausto Bertinotti e Oliviero Diliberto ovviamente, mentre Prodi «non ha alcuna influenza sul suo schieramento: gli hanno regalato come elemosina cinque parlamentari, e avesse almeno avuto l’accortezza di metterci una donna, dentro».
Lo sfidante è per Berlusconi una semplice pedina del «sistema di sinistra», che porta a «dire e magari scrivere una cosa e poi, immediatamente, correggerla quando si accorgono di aver toccato un tasto delicato per la sensibilità degli italiani». Una prova? Le cangianti versioni fornite da Prodi per la tassa di successione, dunque: «Quale attendibilità possono avere le parole di Prodi che non soltanto afferma e smentisce se stesso, ma oltre tutto non ha alcuna voce in capitolo?».
Colpa di questa sinistra «che al suo interno protegge una frangia di violenti che usa le violenze in tutte le occasioni». Il risultato è che «ogni mattina sembra di leggere un bollettino di guerra, con sedi di Forza Italia devastate, gazebo incendiati, manifesti strappati e sfigurati», ecco il mesto lamento che poi sarebbe diventato uno sfogo infuriato.

No, «di minacce dall’estero non abbiamo nessuna notizia, nessun avvertimento» ha risposto ancora il premier ribadendo: «Però, quando mi reco a incontri con i nostri elettori la polizia deve resistere e caricare. Se questo vi sembra un clima sereno...».

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