Ora l’Antitrust europeo si accorge del monopolio di Standard and Poor’s

ERRORI Da Parmalat a Lehman Brothers, troppe le valutazioni sbagliate in questi ultimi anni

Standard & Poor’s, la più blasonata delle agenzie di rating, finisce nel mirino di Bruxelles, accusata di abuso di posizione dominante. L’accusa riguarda in particolare il cosiddetto Isin, il codice di identificazione standard usato dalle banche e dai fondi d’investimento per individuare titoli come azioni e bond emessi a livello globale. È indispensabile per un certo numero di operazioni in cui sono impegnate le istituzioni finanziarie, dal reporting alle autorità alla regolazione e compensazione delle transazioni, e non può essere sostituito da altri identificativi: S&P è la sola società a occuparsene per i titoli americani, ricorda l’Antitrust.
In una lettera inviata all’agenzia statunitense, la Commissione europea spiega come «in base a una valutazione preliminare» Standard & Poor’s abusi della sua posizione dominante «richiedendo alle istituzioni finanziarie e ai fornitori di servizi di informazioni di pagare tariffe di licenza per l’uso nei loro database dei numeri di identificazione dei titoli». La Commissione ritiene, infatti, che la società non sostiene alcun costo per la distribuzione dei numeri ai fornitori di servizi finanziari americani perché questi ultimi non ricevono i numeri da S&P, ma da fornitori di servizi di informazione come Thomson Reuters o Bloomberg.
Cuisp Global Services (la divisione Data Services di S&P, che si occupa appunto dei codici identificativi dei titoli finanziari) ha reso noto di essere in disaccordo con la valutazione preliminare della Commissione europea. In ogni caso, la società ha otto settimane di tempo per rispondere all’Antitrust che, se la conclusione preliminare sarà confermata, potrà chiedere a S&P di cessare l’abuso e imporre una multa. Una macchia che potrebbe essere difficile cancellare e che rovinerebbe ulteriormente la specchiata immagine dell’agenzia, già appannata da una serie di clamorosi errori.
Non è solo un problema di S&P, naturalmente, ma dell’intero «corpo docente» che assegna le pagelle alla finanza mondiale, del resto molto ristretto: la concorrenza - se di concorrenza si può parlare - si riduce solo a Moody’s e Fitch. Solo loro hanno l’autorità di decidere le classi di valutazione, e di conseguenza il destino di aziende pubbliche e private, ma anche sistemi economici nazionali: S&P, a esempio, concede la tripla A, cioè il punteggio massimo, alle società che garantiscono elevata capacità di ripagare il debito e via via scendendo fino alla D, ovvero società insolvente. Peccato che questi giudizi, troppo spesso, si siano rivelati distanti anni luce dalla realtà dei fatti.


Così è stato per Enron, rating positivo fino a pochi giorni prima del crac, per i colossi dei mutui Fannie Mae e Freddie Mac, che la tripla A non ha salvato dalla crisi dei default, e per Lehman Brothers, crollata travolgendo i risparmi dei molti che hanno chiesto il risarcimento proprio a S&P per aver diffuso informazioni errate sulla solvibilità dell’unica banca americana fallita; senza dimenticare il caso italiano più tristemente famoso, quello delle obbligazioni Parmalat, che hanno bruciato i risparmi di decine di migliaia di persone senza che dal numero uno del rating fosse arrivato alcun allarme.

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