Ora Tremonti ha capito che il fisco non può essere arcigno

Caro Granzotto, le invio il breve sunto di una lettera inviata al Ministro Brunetta (lettera che non ha avuto risposta) riguardante una ventennale causa di servizio: lussazione spalla destra in data 26 febbraio 1991. Un anno e mezzo dopo, nel luglio 2002, si dà corso all’accertamento sanitario della Commissione Medica Ospedaliera Militare di Caserta, previa una visita ortopedica e una ecografia muscolo - tendinea che ho dovuto pagare di mia tasca. Gennaio 2010: arriva il riconoscimento di infortunio per causa di servizio. Ottobre 2010: la pratica è trasmessa all’ufficio competente per il calcolo dell’equo indennizzo. Febbraio 2011: l’ufficio competente dà disposizione di erogare il suddetto equo indennizzo nella misura di euro 600. 08 Marzo 2011: richiesta - previo pagamento di 4,10 euro - della specifica dei conteggi effettuati. E finalmente giorni or sono, il 20 aprile del 2011, il pagamento dei 600,08 euro.
Piccolo calcolo e tanta rabbia: vent’anni anni sono 7.300 giorni. 600,08 euro diviso 7.300 fa 0,082202739 centesimi! A parte l’inconcepibile esiguità dell'importo per una menomazione che mi ha creato infinite limitazioni e ripetuti episodi dolorosi, mi domando: ma solo quando si devono pagare multe o tasse sono previsti rivalutazioni e interessi? A lei un commento, sperando lo legga anche il Ministro Brunetta.
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Che lo Stato fosse un cattivo pagatore lo si è sempre saputo: ma a tutto c’è un limite e capisco il suo disappunto, gentile lettrice. E poi, questo giocare al gatto e alla volpe, quest'ammuina! Diciannove dei vent’anni trascorsi in attesa di riscuotere l’indennizzo se ne sono andati nel così detto iter burocratico e sorge il sospetto - un forte sospetto - che l’iter in questione sia lento e macchinoso al fine di ritardare il più possibile l’esborso. Vergognoso, infine, che lo Stato non tenga conto di quella rivalutazione e di quegli interessi maturati nell’attesa che invece pretende, a tassi quasi da strozzinaggio, per un ritardo nel pagamento di tasse o ammende o canone televisivo (per meglio dire: «Imposta sulla detenzione di apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle radioaudizioni», mirabile esempio di come il genio italico riesca, con una semplice manipolazione linguistica, a buggerare il contribuente. Lo stesso dicasi delle pensioni dei parlamentari che non sono dette pensioni, ma vitalizi. Così da poter essere cumulabili. Fine della parentesi). È dunque giusto, gentile lettrice, che lei si sia rivolta a Brunetta (colpevole comunque di non averle fatto rispondere da uno dei molti funzionari del suo ministero) e non, mettiamo, a Tremonti per lamentarsi del trattamento subìto. Il quale Tremonti - miracolo! Miracolo! - s’è finalmente messo una mano sulla coscienza accogliendo il grido di dolore dei contribuenti vessati dalla ferocia e dalle prepotenze della così detta riscossione coattiva. Quella che appellandosi al principio del solve et repete, prima paga e poi protesta, s’accompagna a fulminee ipoteche sulle case, pignoramenti, ganasce alle auto e conti bancari bloccati se il contribuente non scatta come un soldatino alla ingiunzione di saldare l'eventuale (il 50 per cento degli accertamenti viene annullato dalla giustizia tributaria) debito con l’erario. Consentendogli di procedere alla contestazione solo dopo aver sfamato in tutta fretta la belva. Pagare le tasse è doveroso, ma non bello, come invece sosteneva Padoa Schioppa. Pagarle poi col fucile puntato e con l’obbligo di essere più veloci del vento non solo è bruttissimo, ma anche irridente.

E meno male che Tremonti l’ha finalmente capita, ha finalmente colto la differenza tra un fisco severo e un fisco arcigno. Ferme restando le severe obiezioni sollevate venerdì scorso da Nicola Porro, dieci punti per il governo, acqua al mulino della maggioranza e Dio sa se ne ha bisogno.
Paolo Granzotto

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