Roma - E no, caro Mancino, così non va. Non basta istruire «una praticuzza» sulla P3, non si deve affrontare una questione «seria e preoccupante» come i rapporti tra Lombardi e le toghe «in termini generali e propositivi, come lei mi scrive, prescindendo dall’esistenza delle indagini penali e amministrative». Non si può. Non è sufficiente che in tutta fretta il Csm apra un «dossieruccio» a dieci giorni dalla sua scadenza, così, tanto per far vedere che si muove. Perciò, taglia corto Giorgio Napolitano, «è corretto lasciare al prossimo Consiglio le decisioni in merito».
«Faremo chiarezza, nessuno sconto ai magistrati infedeli», così ieri sulla Stampa Nicola Mancino, che ha anche ammesso di aver incontrato un paio di volte il geometra Lombardi: «Mi ha parlato della nomina del presidente della Corte d’appello di Milano, però non gli ho risposto e non mi sono fatto condizionare. Indagheremo a fondo». Ma il capo dello Stato non è d’accordo. Non sarà il Csm uscente a mettere all’ordine del giorno quelle «regole deontologiche minime» che dovrebbero regolare la magistratura. Non si può fare. Non è «appropriato». Ci sono motivi di opportunità e di rispetto delle inchieste in corso.
Dal Quirinale fanno sapere che le parole del presidente non andrebbero lette contro Mancino. Il vicepresidente ha scritto giovedì, Napolitano ha risposto venerdì, ben prima che il nome di Mancino finisse sui giornali in relazione alla nomina di Marra. E nella nota del Colle c’è scritto che bisogna «stare ben attenti a non gettare ombre sui comportamenti dei consiglieri che si pronunciarono liberamente, al di fuori di ogni condizionamento».
Ma, proprio per questo, adesso lui e tutto il Csm devono passare la mano. Quegli incontri ci sono stati, quelle pressioni pure: al di là della presunzione d’innocenza e della stima personale, non si può certo pretendere di indagare su se stessi. E il modo migliore per «non gettare ombre» è quello di evitare di dare l’impressione di volersi autoassolvere. Da queste considerazioni nasce la scelta di bocciare la richiesta di dedicare un plenum alle «condotte indebitamente tese a condizionare il voto di alcuni componenti» in occasione della nomina di Alfonso Marra. Che intanto sta per essere trasferito. Secondo il Csm nei suoi confronti «si registrano comportamenti non dolosi» ma che «determinano l’impossibilità di svolgere a Milano la giurisdizione in modo parziale e indipendente».
Mancino però, per Napolitano, si deve fare da parte: «La questione, lei mi scrive, dovrebbe essere dibattuta in termini generali e propositivi prescindendo dall’esistenza di indagini penali, disciplinari e amministrative sull’episodio. A parte la seria preoccupazione di non interferire in tali indagini, ritengo che il tema non possa essere affrontato “in termini generali e propositivi” con la necessaria ponderazione nel momento terminale di questa consiliatura mentre è corretto lasciare alla prossima le appropriate decisioni in merito».
Il fatto è che il Parlamento non è riuscito ancora a trovare un’intesa sul nuovo vicepresidente e sugli otto membri laici da nominare. Dopo quattro fumate nere, giovedì l’ultimo tentativo. Napolitano ha perso la pazienza: «Confido nei presidenti delle Camere. È necessario che il Consiglio sia rinnovato e possa svolgere pienamente le sue funzioni».
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